- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Per il giudice il racconto delle vittime, tutte studentesse, è credibile. E all’imputato è stata inflitta una condanna a 7 anni di reclusione per violenza sessuale, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Giovanni “Vanni” Migliaccio, 65 anni, all’epoca dei fatti era un tecnico di laboratorio della Federico II. Nel processo col rito abbreviato, il gup Giovanna Cervo del Tribunale di Napoli lo ha ritenuto colpevole di sei episodi di abusi. Ognuno è a danno di altrettante ragazze, iscritte alla facoltà di Scienze Biologiche dell’ateneo napoletano. A chiederne la condanna, il pm Luigi Santulli, coordinato dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone. Della sentenza di primo grado, depositata a giugno, si è venuti a conoscenza ora. Per qualificare la storia, il gup parla di “serialità delle condotte” dell’imputato.

Migliaccio, peraltro, è professionista conosciuto anche fuori dell’ambiente accademico. Al punto da essere stato candidato, non eletto, alle ultime Regionali in Campania, con la lista del centrosinistra + Campania in Europa a sostegno di Vincenzo De Luca. Le indagini a suo carico, invece, gli addebitano “palpeggiamenti e toccamenti di parti intime” delle ragazze, consumati nell’arco di 9 anni. Accuse emerse a fatica, per il contesto in cui sono maturate. E solo grazie al lavoro degli inquirenti. “Nessun dubbio sull’attendibilità soggettiva della vittime – osserva il gup – deriva dalla circostanza che queste ultime abbiano omesso di denunziare i fatti”. Per il giudice, infatti, “si tratta di un fenomeno molto diffuso”. In situazioni come queste, non si denuncia “per evitare di rivivere nelle sedi giudiziarie quanto subito o di cui prova vergogna”, spesso associandolo a “sensi di colpa”. Oppure si ha paura di “ritorsioni da parte del soggetto che riveste, come nel caso di specie, per ragioni professionale una supremazia sulla vittima”. Ma la sentenza considera “serie e fondate” le parole delle studentesse, le quali tra loro non si conoscevano. E delle vittime evidenzia “la condizione di prostrazione”. Alcune hanno svelato stati d’ansia e tachicardia, dovendo entrare all’università. Soltanto una delle ragazze, alla fine, si è costituita parte civile al processo. Ed è l’unica ad aver querelato Migliaccio dai carabinieri. A causa di ciò, il tecnico fu sospeso 30 giorni dalla Federico II in via cautelare. Al termine dello stop, fu riammesso in servizio. Ma dalla sede di via Mezzocannone fu trasferito a quella di Monte Sant’Angelo, in un ufficio non a contatto con gli studenti.

Le altre ragazze sono state rintracciate tramite un post su Instagram. Avevano risposto all’appello, lanciato, il 29 novembre 2021, sul profilo dei Rappresentanti degli studenti federiciani di Biologia. Un invito a denunciare, anche in forma anonima, dopo le prime voci sul caso. Ciascuna vittima descrive “in termini analoghi gli effetti che la condotta di Migliaccio – il quale approfittava del suo ruolo all’interno dell’università, carpendone la fiducia”. Le giovani molestate “restavano paralizzate dal timore e dall’imbarazzo (…), e sovente non riuscivano a profferire una parola”. A Migliaccio, il giudice attribuisce “un preciso modus operandi”. Una fase iniziale in cui offriva alla “alla vittima designata di fornire spiegazioni o notizie relative al corso di studio”. Poi, “una volta trovatosi a distanza ravvicinata con la ragazza, compiva atti di violenza sessuale”. Il gup sottolinea che “l’imputato (…) agiva con disinvoltura ‘come se nulla fosse'”. Nella sentenza emerge anche un’aggressione subita da Migliaccio. Il fidanzato di una vittima, il 3 marzo 2020, si presentò in facoltà, accusandolo di “comportamento scorretto”. Il tecnico “pur aggredito dal giovane, rifiutava le cure mediche e l’intervento della polizia”. Secondo il giudice, “voleva a tutti i costi far calare il silenzio su quella vicenda”. Se così fosse, la speranza si sarebbe rivelata inutile.