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Era domenica il 23 dicembre 1984, quando alle 19.08 un ordigno nella nona carrozza del Rapido 904 esplose con una carica radiocomandata mentre percorreva i 18 km della galleria Direttissima tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino tosco-emiliano, luoghi non distanti da quelli della strage Italicus del ’74 (12 morti e 48 feriti). La bomba sul 904 provocò 16 morti e 267 feriti: il treno era partito da Napoli per Milano, carico di persone in viaggio per le feste di fine anno.
La strage, di cui oggi è stato commemorato il 39/o anniversario, fece ripiombare il Paese nell’incubo del terrorismo, che aveva avvolto l’Italia dal 1969 in poi, con centinaia di vittime innocenti.
Anche per questo si pensò subito ad un colpo di coda dell’estremismo eversivo, ma le indagini furono lunghe e complesse e, solo con la sentenza di Cassazione del 1992, si provò la matrice “terroristico-mafiosa”. Il boss Totò Riina, morto nel 2017, era l’unico imputato a Firenze al processo d’appello sulla strage, per la quale ci sono state condanne passate in giudicato, fra cui quella all’ergastolo di Pippo Calò, fedelissimo di Riina. In tempi più recenti una rilettura di atti e indagini aveva portato la procura di Firenze a individuare Riina come presunto mandante.