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Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza personale della giornalista di Rai Parlamento, Federica De Vizia. Una riflessione su questi giorni di isolamento a causa del pericolo Covid-19

“Covid 19, Sars Covid 2. Coronavirus.
Un nome, quello conosciuto da tutti. Ormai, purtroppo. La pandemia dell’anno bisestile, quella che ha svuotato le strade, ridato al silenzio un posto da re indiscusso tra le città metropolitane. Quello che ha fermato in mare navi e in terra auto, motorini, camion, autobus e treni; che ha creato ominoidi fatti di mascherine e guanti che vagano impazienti e speranzosi, consapevoli oggi che i beni necessari siano sì una busta di latte ma anche un quotidiano, che un negozio di alimentari e un’edicola siano intesi entrambi allo stesso modo: beni di prima necessità, al pari di un farmaco.

Quello che ha smosso le coscienze di tutti. Risvegliato il concetto di bene comune e libertà personale. Fermarlo è una scelta libera ma imposta, guidata da uno Stato autorevole  e mai come adesso vicino ai cittadini. Cittadini, sudditi della paura, arrivata tardi ma penetrata nelle ossa, anche di chi non lo ammette ancora.

“Lui” ha ridato anima alle videochiamate, un modo per essere vicini seppur distanti, invitato i bambini a colorare arcobaleni, la gente a organizzare i flash mob dai balconi e dalle finestre, chiesto ai figli grandi di esser lontani dai genitori anziani e ai piccoli di esser con loro, più di prima. Ha rimosso rapporti. Messo a tavola le famiglie insieme, allontanato gli amanti, ricucito i rapporti zoppicanti, definitivamente, e in maniera sottile sta asfaltando quelli che si reggevano per l’esistenza della distanza o di una magica utopia.

Sparso nascite e ferite, desideri di abbracci e perdoni mai immaginati. Ridonato l’amore per la lettura, la gestione del tempo e il compromesso: quello, attuato senza tanta pubblicità e stupore, dalle nostre nonne.

E’ riuscito a far infarinare le mani delle donne frettolose in cucina e fatto scoprire loro dove si trova uno straccio. Lo smalto semipermanente può essere tolto in casa e i capelli si possono tingere nel lavandino. Proprio come la ceretta.

Ha ridotto l’egoismo dei “soli” che si trovano a pensare che la condizione di solitudine, tanto invidiata dalle famiglie recluse in appartamenti di città, forse non è la felicità. La comodità sì, indubbiamente.

Gli eroi sono i camici bianchi, verdi e blu, quelli che entrano nei bunker con le luci elettriche accese h24, dove gli odori sono forti, dove è labile il confine tra cinismo, realismo e speranza. Dove ogni respiro di un paziente intubato può essere una vittoria o una sconfitta. Dove si deve onorare il giuramento di Ippocrate. Senza se e senza ma.

Gli eroi sono quelli che trasportano cibo e medicine, che rimangono seduti 8 ore dietro le casse dei supermercati, o dietro i banchi delle farmacie, quelli che fanno ricerca in silenzio. Quelli in divisa che fanno rispettare l’ordine pubblico. Quelli che si aggiornano, con attenzione e dedizione, per informare la Nazione. Quelli che hanno attività in proprio e sono costretti a stare a casa attaccati alla tv per capire se, tra un decreto e l’altro, si profilino delle misure concrete per loro e se l’Europa, al di là degli annunci, ci darà soldi o no.

Ma lo sei anche tu, che a modo tuo, stai facendo la cosa giusta. Ora capisci che hai bisogno di Fede. Tutto è troppo più grande di te.

Comprendi che le bugie che ti sei detto sono tante. Ci hai convissuto e il tempo che ora hai non vuoi impiegarlo nelle cose che dicevi di non fare proprio per la sua mancanza.

Diventa un’ossessione morbosa ora capire, cercare i suoi numeri, informarsi, trovare gli untori e far circolare qualsiasi informazione. Velocemente, comunque.

Il sonno si affievolisce e le voci dell’anima salgono.

Un applauso al balcone per l’Inno d’Italia ti inorgoglisce e rattrista.

Preghi, sorridi, organizzi, rimandi nell’incertezza e avanza quel riscoperto “non lo so” che ti faceva tanta paura”.

Federica De Vizia