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Luogo di residenza e livello di istruzione incidono su qualità e durata media della vita. A denunciarlo è l’Osservatorio nazionale della Salute nelle regioni italiane, progetto che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica. Ideato dal professore Walter Ricciardi, lo studio è dedicato alle disuguaglianze di salute in Italia.

E per la Campania non giungono notizie confortanti. La nostra regione, infatti, è quella che fa segnare l’aspettativa di vita più bassa. Da noi, gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3.

Nella Provincia Autonoma di Trento, invece, gli uomini mediamente sopravvivono 81,6 anni e le donne 86,3.

In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne.

Il dato campano, dunque, è negativo anche rispetto alla media fatta registrare nelle altre aree del Sud Italia.

La dinamica della sopravvivenza, tra il 2005 e il 2016, – scrive l’Ons – dimostra che tali divari sono persistenti. In particolare, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale. Tra queste la Campania, la Calabria e la Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni. Per contro, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano, stabilmente, una aspettativa di vita al di sopra della media nazionale”.

Quanto al dettaglio per province, va male, malissimo, per Caserta (80,658 anni) e Napoli (80,683)  che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella nazionale (82,751).

Neanche i beneventani, però, possono sorridere. La speranza di vita alla nascita per gli abitanti del Sannio si ferma a 81,967 anni. Chi si avvicina di più alla media nazionale sono i salernitani (82,004) e soprattutto gli avellinesi (82,025).

Lo studio, accennavamo, mette in risalto anche un altro aspetto: i divari sociali di sopravvivenza.

In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate.

Anche le condizioni di salute, legate alla presenza di cronicità, denunciano sensibili differenze sociali: nella classe di età 25-44 anni la prevalenza di persone con almeno una cronica grave è pari al 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e al 3,2% tra i laureati. Tale gap aumenta con l’età, nella classe 45-64 anni, è il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati.

I divari di salute – si legge dal focus – sono particolarmente preoccupanti quando sono cosi legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni. Un tipico esempio è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, la quale interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti. Anche considerando il livello di reddito gli squilibri sono evidenti: l’obesità è una condizione che affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli, a giudicare dal fatto che il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata”.