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Sentenza Rigopiano, critiche a Salvini, il ministro-“stesse pene di chi commette un furto ma lì 29 morti sono senza giustizia”.
di Mariateresa Conte

Valva (Sa)- Ha scatenato la reazione degli avvocati penalisti dell’Abruzzo, difensori di alcuni degli imputati poi assolti nel processo per la tragedia di Rigopiano, il commento di delusione per l’assenza di giustizia, rilasciato alla stampa qualche ora dopo la sentenza, dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Matteo Salvini. Sentenza che ha visto 5 condanne e 25 assoluzioni.

È lo stesso ministro è ritornato sulla questione qualche ora dopo, rispondendo alle accuse che gli sono state rivolte dai legali degli imputati assolti, chiarendo la sua posizione e ribadendo la sua vicinanza alle famiglie delle vittime dell’hotel Rigopiano e ai sopravvissuti.
“Ho letto su qualche giornale commenti critici riguardo il mio post sulla sentenza di Rigopiano: «Ventinove morti, nessun colpevole (o quasi). Questa non è “giustizia”, questa è una vergogna».
Vorrei aggiungere qualche riflessione su una vicenda che mi ha colpito profondamente, della quale mi occupai recandomi in quei luoghi, incontrando i famigliari delle vittime e spendendomi affinché vedesse la luce, come poi accaduto, una legge per tutelare i bambini e i ragazzi rimasti orfani. Mi porto ancora nel cuore le loro lacrime, i loro abbracci, le loro parole.

Il 18 gennaio 2017, dopo giorni di nevicate senza precedenti e scosse di terremoto, una valanga spazza via l’Hotel Rigopiano di Farindola, in Abruzzo, sul Gran Sasso. Le vittime sono 29, i sopravvissuti 11. Ricordo benissimo lo smarrimento che provai quando vidi le immagini. Il senso di commozione per le persone rimaste imprigionate sotto il cemento e il ghiaccio. Senza che ancora si sapesse quante erano morte e quante invece fossero ancora vive: quante donne, quanti uomini, quanti bambini.
Ricordo l’ansia per le difficoltà dei soccorritori nel raggiungere il luogo della tragedia, trasformato in un inferno bianco, silenzioso e spettrale. Poi la trepidazione nel seguire il loro lavoro generoso e instancabile. La gioia per le persone che venivano trovate ancora vive, e la tristezza per quelle che non ce l’avevano fatta. E il momento del bilancio finale: i tanti morti da una parte, dall’altra le tante persone che avevano perso, da un giorno all’altro, gli affetti più cari. Ricordo, soprattutto, la crescente sorpresa, diventata poi indignazione, nel prendere coscienza di quante disattenzioni, distrazioni, omissioni, situazioni anomale fossero andate sommandosi nel tempo a determinare un destino terribile. La sorpresa nel constatare che, dal primo allarme all’attivazione dei soccorsi, erano passate inspiegabilmente due ore. L’indignazione nell’apprendere che, secondo pareri autorevoli, in quel sito non ci sarebbe mai dovuto essere un albergo.

Dopo le polemiche, ricordo il sollievo provato nel sapere che la procura di Pescara aveva aperto un’inchiesta, che tutti desideravamo essere attenta e scrupolosa: 30 indagati per reati come disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi.
La speranza che giustizia, una vera giustizia, potesse essere fatta. Un concetto molto semplice, molto umano di giustizia: poiché era evidente, o almeno così sembrava, che ci fossero state tante disattenzioni, omissioni e procedure anomale, lontane nel tempo ma irregolari. Confidavo, come tanti, che le responsabilità del disastro venissero chiaramente individuate, ricostruite e sanzionate. Per dare pace a coloro che erano morti, e ancora di più a coloro che quei morti avrebbero pianto per tutta la vita.

Arriviamo così al 23 febbraio. Viene emessa la sentenza di primo grado, con cinque condanne e 25 assoluzioni. E le stesse condanne appaiono molto miti: 2 anni e 8 mesi per il sindaco di Farindola; 3 anni e 4 mesi per due dirigenti della Provincia di Pescara; 6 mesi ciascuno per l’albergatore e per un tecnico. Praticamente, le stesse pene che avrebbero potuto ricevere gli autori di un furto. Da una parte, 29 morti per un evento che, a detta di tutti gli esperti interpellati, poteva ampiamente essere previsto e quindi evitato. Dall’altra parte, una maggioranza schiacciante di assoluzioni, e pochi condannati, con pene corrispondenti a quelle di reati comuni di lieve entità.

Di fronte alla sproporzione fra quanto era accaduto e quanto la giustizia aveva prodotto a sei anni da quell’immane tragedia, le parole che ho ricordato all’inizio mi sono uscite dal cuore, pensando alle vittime e ai loro cari. E credo che tanti, tantissimi italiani, abbiamo provato la mia stessa rabbia, la mia stessa delusione.
Vorrei ricordare il commento di Giampaolo Matrone, uno dei sopravvissuti, rimasto a lungo intrappolato sotto la neve, che nella strage perse la moglie Valentina, 33 anni: “Mia figlia mi ha chiesto se hanno condannato gli assassini di sua madre. Non sono riuscito a risponderle”.
Da politico accolgo le critiche ricevute, sono abituato e le accetto. Ma al contempo conservo i messaggi di sostegno che ho ricevuto in queste ore da alcuni parenti delle vittime, che abbraccio e ringrazio. E, da uomo e da padre, ciò mi basta”.

Una risposta netta, chiara quella del ministro Salvini che più volte nel corso dei 6 anni dalla tragedia, ha espresso vicinanza ed ha incontrato i parenti delle vittime che gli avevano chiesto giustizia.
E la risposta dei parenti delle vittime di Rigopiano non si è fatta attendere. Alessio Feniello, papà di Stefano, il ragazzo di 28 anni originario di Valva, nel salernitano, ha scritto una risposta al Ministro Salvini su facebook, ringraziandolo per la vicinanza ed invocando una riforma della giustizia: “dove chi sbaglia, paghi” – dice il papà di Stefano.

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