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di Anna Rita Santabarbara

Incendi negli impianti di raccolta e riciclaggio di rifiuti. Una storia vista e rivista negli ultimi anni, al centro di una conferenza stampa svoltasi questa mattina a Casa Don Diana a Casal di Principe. Focus della riflessione, le conseguenze che tali roghi producono sull’ambiente e sulla salute umana. “In Campania”; spiega il medico Antonio Marfella, intervenuto durante la conferenza, “il tombamento dei rifiuti è stato molto profondo, si parla di 15 m circa. Gli agronomi della camorra avevano capito bene che per continuare a coltivare i terreni senza lasciare traccia di ciò che c’era sotto era necessario interrare i rifiuti in profondità. In questo modo, la superficie del terreno rimaneva apparentemente intatta e il pomodoro lì coltivato e successivamente analizzato non avrebbe riportato traccia dell’inquinamento del suolo, che riguardava per lo più le falde acquifere”. Immondizia riversata nel terreno senza lasciare traccia. Falde acquifere inquinate e un disastro ambientale assicurato. A ciò va aggiunto, ribadisce Antonio Marfella, “che il 66% delle abitazioni qui è abusivo. Queste case, quindi, attingono a quei pozzi inquinati. Potete facilmente immaginare lo stato di pericolo in cui questa gente si trova”.

Questa storia si somma a quella delle nubi tossiche che danneggiano l’aria e il suolo ogni volta che un sito che raccoglie e ricicla rifiuti va in fumo. Danni inestimabili per la salute di chi quell’aria la respira, come accaduto recentemente per l’Ilside di Bellona, bruciata per la seconda volta in 5 anni. Ma si tratta di incendi casuali? Assolutamente no, secondo il direttore di Polieco, Claudia Salvestrini, e dell’ex magistrato nonché docente di Diritto Ambientale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, Gianfranco Amendola. “Quello che emerge è una carenza sia di leggi che di applicazione delle leggi”, spiega Amendola. “Bisogna unificare i controlli attraverso le prefetture, creare dei poli specializzati per capire cosa c’era in quei siti andati a fuoco prima che scoppi l’incendio”. Il sentore è quello di  roghi appiccati per nascondere i “rifiuti illeciti”. E la situazione è quanto mai allarmante se si considera che il fenomeno ha raggiunto proporzioni tali da poter prevenire addirittura quali saranno i prossimi siti ad essere bruciati. L’architetto Claudia Mannino, ex parlamentare, ha contribuito a redigere una mappatura degli impianti andati a fuoco negli ultimi tra anni ed il quadro emerso è quello di roghi appiccati ovunque. In pratica, i fumi tossici esalati dal terreno che hanno attribuito a vasti territori della Campania l’appellativo di “Terra dei Fuochi”, ormai sono presenti tanto in Lombardia, quanto in Veneto, Toscana, Piemonte, Lombardia, Lazio, Sicilia e Sardegna. Tanto che la senatrice Paola Nugnes, intervenuta nel corso del dibattito, ha dichiarato: “La Terra dei Fuochi è in tutta Italia”.

Come ovviare al problema? Innanzitutto insistendo sui controlli negli impianti per capire se rispettano le normative. “Molti impianti di rifiuti non sono a norma”, spiega la direttrice di Polieco, Claudia Salvestrini, “non rispettano le norme antincendio, non hanno tutte le documentazioni necessarie, mancano di videosorveglianza”.

Controlli quanto mai necessari, nei quali lo Stato e le Regioni devono investire se vogliono tutelare la salute dei cittadini. “La stessa ARPA controlla la salubrità dell’aria, ma non sempre fa analisi sul suolo”, sottolinea il procuratore aggiunto della DDA di Bari, Roberto Rossi.

“Quando i controlli sono stati fatti hanno dimostrato la loro efficacia”, ha proseguito il dottor Marfella. “Si pensi alla Toscana che ha l’ARPA con potere di polizia giudiziaria. Nel momento in cui i controlli non rendevano più possibile smaltire i rifiuti illeciti lì, questi li hanno mandati in Campania. Ed in questa regione, oggi, manca un registro d’incidenza dei tumori. Non ci sono dati in tempo reale se non quelli forniti dall’Istat. Com’è possibile intervenire per tutelare la salute, allora, se non si conosce qual è lo stato reale dei fatti?”