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Benevento – Se è vero che quaranta è il numero dei sogni, il Benevento è sulla balconata della serie A. La vista è meravigliosa, l’aria rarefatta, le nuvole accarezzano il viso. Ha faticato non poco per giungere qui; ha domato il mar Ligure, saccheggiato le colline toscane, scalato le Alpi friulane, danzato tra i Nuraghi. Ogni passo un’esperienza, un brivido eccitante, una suggestione. Ventuno chilometri, per la precisione. Tanti ne ha percorsi la squadra di Inzaghi per godersi il panorama. Qualche minuto per respirare, compiacersi, indagare a fondo sul senso del cammino. Poi ripartirà.

Una volta giunti a metà, viene da pensare alla stessa parola senza l’accento finale. Meta, appunto. Stando alle calcolatrici impazzite dei ragionieri del campionato, “quella cosa lì” dista una ventina di chilometri. Approcciare la discesa non sarà una passeggiata, ma le certezze accumulate aiuteranno a non perdersi d’animo quando il sudore righerà il viso e la paura chiederà le attenzioni finora negate. Dossi, sterrato, tornanti indefiniti, il vuoto a un passo. Servirà calibrare i freni con puntualità. Schiattarella, che del gruppo è capitano, dovrà disegnare nuove curve perfette con la geometria che gli appartiene.

A Cagliari è stato l’architetto di un capolavoro applaudito a ogni latitudine. Mente fine, pensiero nitido e piedi puliti. Si dice che i visionari vedano cose che noi umani non riusciamo neppure a immaginare, sarà per questo che non li comprendiamo. Almeno non da subito, non come vorrebbero loro. Il modo in cui il regista ha saputo comandare le operazioni in questa prima fase è la risposta alle diffuse perplessità di inizio stagione. Il campo, la fascia, gli assist e le parole. Anche quelle dure, che un gran bene fanno alla squadra, tenuta sulla corda dal primo all’ultimo dal suo condottiero.

Occorre necessariamente partire da Pasquale Schiattarella da Mugnano per dipingere il quadro di questo Benevento. Se non altro perché canta e porta la croce, inventa traiettorie e cancella avversari; incita chi gli è accanto, lo richiama, lo mantiene in partita. Inzaghi ha il suo alter ego in campo, un giocatore che traduce in risultato qualsiasi dogma. Poi ci sono i soldati, i fruitori, i beneficiari. Marco Sau, ad esempio, si è lasciato prima cullare dall’emozione e poi ha colpito dritto al cuore, al suo e a quello degli isolani come lui. Riccardo Improta è plastilina modellabile, può essere qualsiasi cosa voglia chi lo gestisce: scatta, copre, si inserisce, magari sa anche parare, chissà, speriamo di non doverlo scoprire. E che dire di Tuia, una fenice che risorge dalle ceneri con continuità disarmante. Confuso con la Lazio, meticoloso contro il Genoa, poi ancora distratto contro il Milan e addirittura decisivo ieri, con salti letali a rendere i sardi mortali. Il simbolo della rivincita sulle asperità del viaggio. 

E’ sempre dal dialogo che parte la filosofia, dalla connessione tra cuore e cervello. Tra centro e periferie. Chissà perché viene in mente Parigi, le tante strade principali che si snodano da piazza Charles de Gaulle, cuore pulsante della capitale francese. E’ così che funziona il Benevento, ed è lì che sorge un arco trionfale, a sua volta punto di congiunzione con il piccolo, grande Sannio. Simboli di gioie e di traguardi. Una ventina di chilometri senza mollare. Una ventina di chilometri ancora.