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Benevento – Cosa c’entra il Benevento con Don Mazzi e Fabrizio Corona? Difficile capirlo, anche dopo aver letto più volte la missiva del sacerdote indirizzata al personaggio televisivo pubblicata sull’edizione odierna del Corriere della Sera. In sostanza Don Mazzi, in un passaggio della lettera alquanto incomprensibile, paragona Corona prima a un cretino e poi al Benevento, lasciando intendere che siano sinonimi. Nel 2015 l’ex paparazzo dopo l’uscita dal carcere fu affidato alla comunità gestita da Mazzi, che nei successivi tre anni nonostante innumerevoli tentativi non è comunque riuscito a riportarlo sulla retta via. Tanto che, per stessa ammissione del presbitero, soltanto tre mesi fa Corona veniva giudicato un soggetto irrecuperabile: “Mi hanno fatto perdere tempo. Fabrizio ero convinto di portarmelo a casa, ma si sente la divinità di se stesso. È personaggio anche quando si pente, non c’è niente di autentico in lui. Non lo voglio più”, disse utilizzando toni ed esprimendo opinioni diametralmente opposti a quelli di adesso (“Mi manchi così tanto da obbligarmi a riprendere in mano la penna e mandarti un messaggio”). Tanto che ci risulta obiettivamente difficile pensare che a scriverli sia stata la stessa persona. Vedere per credere.

“Caro Fabrizio,
sono di nuovo sepolto da mail, lettere, messaggi, telefonate, fermate per strada, sempre con la solita domanda: perché non ti riprendo; solo io sarei capace di salvarti, perché fai il cretino (non ho scritto la parola vera per evitare i puntini…) a tue spese, ecc… Persino un vescovo mi ha chiesto come stai. Se dovessi dirtela tutta, da sincero come sono: mi manchi! Mi manchi così tanto da obbligarmi a riprendere in mano la penna e mandarti un messaggio. I mesi che hai trascorso nel carcere di Opera, le tue sofferenze, la tua gentilezza nei miei riguardi (quasi la chiamerei amore, ma non voglio esagerare), il lavoro fatto insieme, ha permesso che direttore, vicedirettrice, cappellano e avvocati, insieme avessimo ottenuto la tua uscita da quell’inferno per tornare a vivere per cinque mesi in una delle mie comunità. Ti ho visto pulire le stanze, lavorare, far da mangiare, giocare con tuo figlio. Sembravi quasi arrivato dove speravo. Invece le solite vicende hanno mandato tutto in malora ed eccoci di nuovo qui a fare brutti pensieri nei tuoi riguardi, dopo averti visto in tv. Per brutti pensieri intendo dire che sei cretino sul serio. Mi spiego meglio. Secondo me continuando a fare il cretino «per teatralità», lo sei diventato veramente. La maschera ha sostituito l’uomo. Lasciami fare una battuta: io sono disposto a perdere (da interista) con il Benevento ma non sono disposto a perdere con il Milan. Ma (ecco i brutti pensieri) tu continuando a fare il Benevento quando è stato ora di fare il Milan, hai mollato le braghe (come diciamo noi veneti). E anche l’altra settimana, nonostante fossi vestito dignitosamente, ad un certo punto hai sparato pallonate sul muso dell’arbitro (vedi magistrato) dimostrando così alla gente che sei ancora un idiota ma vestito da festa. Però, e finisco, io che ti ho seguito paternamente nei momenti più drammatici della galera, da veronese più bastardo di te «nel bene», non ho buttato «la partita» alle ortiche, e ti credo ancora! Pochi ti conoscono dentro l’anima come ti conosco io. L’altra sera ad una cena (sto cercando quattro soldi per pagare gli stipendi) mi si è avvicinato un tuo amico e allungandomi il telefono mi ha pregato di chiamarti. L’avrei fatto ma nella confusione ci siamo persi e non ce l’ho fatta a chiamarti. Un abbraccio caldo e forte come ai tempi di Opera e… telefoniamoci,
tuo don Antonio”.