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Sono trascorsi 24 anni da quando, proprio grazie ad una galoppata delle sue che quando partiva sulla fascia destra nessuno lo riusciva a prendere, contribuì in maniera determinante a regalare ai tifosi del Benevento quella serie C1 che tanto desideravano riconquistare dopo anni di purgatorio spesi tra serie D e C2.

Mario Massaro con il figlio Riccardo grande tifoso dei giallorossi

Mario Massaro,  all’epoca noto come la ‘Freccia di Maddaloni’ per sottolinearne la provenienza, al 4’ del secondo tempo supplementare di una finale playoff infinita giocata il 13 giungo del 1999, partì in solitaria sull’out destro del rettangolo verde dello stadio ‘Via del Mare’ di Lecce per poi gettare il pallone sul versante opposto dove un accorrente Rosario Compagno, con la forza della disperazione, gettò il pallone alle spalle del portiere del Messina Manitta, ultimo baluardo che si frapponeva tra il Benevento e la serie C1.

Da quell’istante scattò il delirio giallorosso di marca sannita che ebbe il suo apice nella notte di festeggiamenti nell’allora ‘Santa Colomba’. Mario Massaro, sabato pomeriggio si è venuto a riaffacciare in quel che è diventato il ‘Ciro Vigorito’, proprio nel giorno che ha riportato la squadra sannita laddove lui insieme ai suoi compagni con sacrifico l’avevano portata. Ma gli stati d’animo nel Sannio calcistico, con un quarto di secolo in mezzo, sono diametralmente opposti. Allora per la C1 festeggiamenti inebrianti, oggi, sempre per la C1 delusione e rabbia. Il primo a vivere male quanto matematicamente sancito dalla vittoria del Benevento contro il Modena è stato proprio Mario Massaro.

“Sto soffrendo troppo per questa retrocessione – esordisce l’ex calciatore giallorosso – Benevento doveva proseguire a stazionare tra serie A e B. Questa realtà, dalla società passando ai tifosi non doveva ritornare in C. Non riesco a capire cosa sia potuto accadere sino a far strapiombare il Benevento all’ultimo posto. Ancora non ci credo. Una idea me la sono fatta, ma ormai che importanza può avere”.
Quale è?
“Penso che l’errore più grande sia stato quello di scegliere prima Cannavaro e poi Stellone”.
Perché?
“Il primo non andava scelto perché la serie B non perdona chi si affaccia senza esperienza. Cannavaro ha un grande passato da calciatore ma non era in Cina che poteva farsi le ossa da tecnico per capire quanto sia difficile la cadetteria. La sua è stata una scelta d’apparenza e non di sostanza. Fatta la prima frittata, non bisogna farne un’altra”.
In che senso?
“Stellone non era l’allenatore giusto in quel momento. Il Benevento poteva ancora salvarsi. Ma serviva un vecchio marpione di categoria, per intenderci uno alla Agostinelli che diceva alla squadra: “Signori, qui c’è da salvarsi. Dobbiamo accontentarci e quando non riusciamo a vincere lottare per la conquista del punticino. Ma soprattutto non dobbiamo perdere. Sacrificio, copertura e palla in tribuna”. Stellone è un bravo allenatore, ma vuole un calcio propositivo, palla a terra, gioco manovrato. I giallorossi avevano un piede nel fossa, erano già a pezzi per poter imparare e mettere in pratica tali indicazioni”.
Adesso quale potrà essere il futuro?
“Non saprei, bisognerà aspettare le decisioni del patron Vigorito, ma non credo che abbandonerà la sua creatura. Però, deve fare ammenda dei suoi errori. Non c’è da recriminare con il pubblico, perché i tifosi non scendono in campo a giocare e non scelgono i giocatori. Il presidente deve guardare al suo passato e ricordarsi che in C spendere tanto non significa vincere. I soldi contano di più in A e in B e nemmeno tanto, come si è visto. Ma in serie C sono relativi, se non si hanno dirigenti e allenatori capaci di costruire le squadre e soprattutto capaci di gestirle. Il campionato di C è un labirinto inestricabile pieno di insidie.  Per non parlare del girone C pieno di derby, campi ostici, e condizioni ambientali difficili da reggere. Serviranno uomini con attributi e umiltà, prima ancora che di piede fino e ingaggi altisonanti”.