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Cronaca di un fallimento annunciato. Le dimissioni di Giovanna Tozzi dai vertici dell’Ato Rifiuti Benevento sono giunte dopo 18 mesi di totale immobilismo dell’Ente. Una paralisi politica e amministrativa non dipesa certo dalla Presidente, eletta semplicemente perché la più giovane tra i consiglieri dopo che il voto dei sindaci non aveva determinato alcuna maggioranza in seno al Consiglio.

Dal febbraio del 2017 a oggi l’Ato ha prodotto il nulla, risultato ascrivibile all’incapacità di fare sintesi della politica sannita. Il muro contro muro tra i due schieramenti, da un lato l’alleanza Pd-Alternativa Popolare e dall’altro quella tra Forza Italia e i mastelliani, non ha fatto fare un solo passo in avanti al territorio sannita.

Eppure parliamo di rifiuti, mica pizzi e fichi. E l’emergenza provocata dall’incendio (non certo un episodio isolato) dello Stir di Casalduni è solo l’ultima, in ordine temporale, delle questioni.

Solo pochi mesi fa parlavamo di Sassinoro, per dirne una, del paradosso dato dall’annunciata realizzazione di due impianti, uno pubblico e l’altro privato, deputati a fare la stessa identica cosa, ovvero la lavorazione dell’umido, nel raggio di 12 chilometri, ancora nell’area dell’Alto Tammaro.

Il tutto, in assenza del soggetto di governo del ciclo integrato dei rifiuti: l’Ato, acronimo probabilmente sconosciuto alla stragrande maggioranza dei 280mila cittadini sanniti ma investito di competenze e funzioni essenziali in materia di rifiuti.

Spetta all’Ato, per cominciare, affidare il servizio di gestione integrata dei rifiuti in provincia, dividendo il Sannio in distretti (SAD) e definendo i livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni.

Spetta sempre all’Ato, poi, determinare le tariffe, individuando per ogni Comune la misura della tariffa dovuta, tenuto conto dei servizi d’ambito resi, della specifica organizzazione del servizio, delle azioni virtuose, delle politiche di prevenzione, riutilizzo, delle percentuali di raccolta differenziata nonché della qualità della raccolta.

Prescrizioni perse nel vento. In 540 giorni l’Ato non è riuscito a darsi neanche una sede, una stanza, una scrivania. L’unico atto è stata la nomina del Direttore generale ma pure questa è avvenuta senza lo straccio di un accordo. Attenzione, non parliamo di una mancata intesa tra le due parti in causa ma tra i due partiti dell’alleanza a cui faceva riferimento il presidente, con i consiglieri-sindaci del Pd imbufaliti per la decisione della Tozzi, avallata invece dai vertici dei due partiti.

E ora? Archiviata l’esperienza di Giovanna Tozzi, cosa accadrà? E’ lecito o no aspettarsi un cambio di passo?

Si torna al punto di partenza. Resta infatti in carica l’assemblea eletta nel febbraio del 2017. Sarà Michele Napoletano, in quanto sindaco del comune più popoloso tra quelli rappresentati nell’organismo, a gestire questa fase transitoria: entro trenta giorni dovrà convocare il Consiglio d’Ambito per l’elezione del nuovo Presidente.

Ancora poco, dunque, e misureremo il grado di tafazzismo della politica sannita. Non è una scelta difficile. La cosa più ovvia sarebbe il “mea culpa” con conseguente assunzione di responsabilità. Ma potrebbe anche essere forte la tentazione di perseverare nell’errore. Giusto così, per vedere l’effetto che fa. Casomai non fosse chiaro a tutti cosa è successo il 4 marzo scorso.