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Caserta – Il Comitato don Peppe Diana e Libera intervengono sulla vicenda del bene confiscato al clan dei Casalesi denominato “La Balzana”, sul cui rilancio si addensano molte ombre dovute alla fuoriuscita del Comune dove è ubicato il bene, Santa Maria la Fossa, dal Consorzio pubblico Agrorinasce, che nel Casertano amministra e dà in concessione decine di beni confiscati alla camorra. Tra questi ci è appunto la Balzana, ex azienda agricola di grandi dimensioni dove lo Stato ha investito già 15 milioni di euro, in base ad un progetto che vuol ridare alla Balzana quell’antica vocazione agricola, attraverso la ripresa della coltivazione di grano e altri prodotti. Ua vicenda che, a dire di Libera e Comitato don Diana, coinvolge l’idea stessa di riutilizzo dei beni confiscati, la cui mission dovrebbe sempre essere quella di privilegiare interessi pubblici e trasparenti, e di dare opportunità alle tante associazioni di cittadini impegnate nella difesa delle legalità. “Oggi più che mai – scrivono le due associazioni antimafia in una nota – si rende urgente riaprire una riflessione seria e responsabile sul tema. Pertanto chiederemo a breve urgenti incontri alla Prefettura, alla Regione e all’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati anche per attivare opportuni tavoli istituzionali, in grado di mettere insieme le giuste sinergie e soluzioni per non sprecare una importante storia di impegno e riscatto. Come Comitato don Peppe Diana e Libera, possiamo vantare una coerente storia di impegno sociale con al centro buone pratiche di cooperative sociali ed associazioni che gestendo i beni confiscati alla camorra, hanno messo in piedi un modello di economia sociale, vero antidoto dell’economia criminale. Crediamo dunque che sia questa la via e nessuna deroga possa essere accettata. Ma siamo preoccupati dinanzi alla cronaca degli ultimi giorni riguardante anche il riuso della Balzana. Più volte, già negli anni addietro, abbiamo manifestato, anche se siamo rimasti inascoltati, le nostre perplessità rispetto ad un sistema di riutilizzo che non abbiamo mai compreso. In diverse occasioni abbiamo espresso la nostra posizione contraria ad un modello di riutilizzo non in grado di interpretare in modo adeguato lo spirito del codice antimafia, escludendo quasi interamente il terzo settore, nonostante la presenza, in provincia di Caserta, di esperienze d’eccellenza, riconosciute come modello nazionale. La camorra – evidenziano le associazioni – già altre volte ed in altre occasioni, si è travestita e ha approfittato di spazi lasciati vuoti”.