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L’ex vicesindaco di Caserta Pasquale Corvino si è rivolto prima delle elezioni regionali in Campania del 2015 al referente del clan Belforte nella città di Caserta, Agostino Capone, “nella piena consapevolezza della sua caratura criminale, al fine di ottenere da lui il procacciamento dei voti a suo favore nella competizione elettorale, erogando compensi a lui e al suo stretto collaboratore”.

E’ uno dei passaggi delle 72 pagine di motivazioni, pubblicate il 29 febbraio scorso, della sentenza con cui la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha chiuso nel novembre 2023 la vicenda del voto di scambio politico-mafioso consumatosi a Caserta prima delle Regionali 2015, condannando definitivamente a 4 anni e otto mesi il 61enne Pasquale Corvino, ex vicesindaco nonché più volte consigliere comunale ed ex presidente della Casertana calcio.

Condannati invece a 4 anni e cinque mesi l’ex sindaco di San Marcellino, Pasquale Carbone, a 15 anni l’esponente del clan Belforte di Marcianise Agostino Capone, e a sei anni la moglie di quest’ultimo, Maria Grazia Semonella.

Per l’imputato Antonio Zarrillo, cognato del capoclan Salvatore Belforte, per il quale la Corte di Appello di Napoli aveva già rideterminato la pena di primo grado comminando 27 anni di carcere in continuazione con altre sentenze, la Corte di Cassazione ha disposto il rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello in relazione al solo reato di estorsione aggravata per una nuova disamina che potrebbe portare all’assoluzione per questa fattispecie, confermando però la condanna per l’associazione mafiosa.

Gli ex politici Corvino e Carbone sono stati arrestati e condotti in carcere dopo l’emissione della sentenza.

Dai processi è emerso che Corvino si accordò con Capone per procacciare voti in vista della Regionali (non fu peraltro eletto); il politico consegnò al camorrista tremila euro, buoni benzina e buoni pasto da dare agli elettori da corrompere. Stesso copione per l’ex sindaco di San Marcellino Pasquale Carbone, che tramite un intermediario, non coinvolto nell’indagine ma ritenuto vicino ai Belforte, diede 4mila euro per 100 voti a Capone, che riuscì a far raccogliere 87 preferenze, tanto che Carbone si mosse per riavere indietro i soldi. Altro aspetto vagliato dai processi è quello dei manifesti elettorali da affiggere a Caserta, la cui attività era controllata in modo quasi monopolistico dalla Clean Service di Capone e della moglie Maria Grazia Semonella. Tre candidati cui era stato imposto di servirsi della ditta di Capone, in particolare Lucrezia Cicia e Luigi Bosco, si sono costituiti parte civile nel processo insieme all’associazione Antonino Caponnetto.