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Grande successo di pubblico e di critica per il debutto mondiale a Napoli della Compagnia stabile del Teatro Patologico, spettacolo promosso dalla Fondazione Rut, andato in scena come evento speciale al Teatro Trianon-Viviani il 23 e il 24 settembre.
Il titolo della rappresentazione teatrale racconta di un viaggio universale, quello che parte dalle storie e dal vissuto degli attori della compagnia, ragazze e ragazzi con disabilità psichica, che hanno sfidato i pregiudizi per raccontare ed emozionare il pubblico, su quanto labile sia il confine tra normalità e follia.

Testimoni di uno speciale percorso di teatro-terapia che l’Associazione Teatro patologico, diretta dal fondatore e regista Dario D’Ambrosi, mette in scena da trent’anni. La pièce è ispirata all’opera di Dante Alighieri ed è stata organizzata dalla Fondazione Rut con l’intento di portare a Napoli un momento di bellezza e spettacolo, ma anche di riflessione comune sui temi dell’emarginazione (personale, sociale e di comunità). Le sofferenze e le patologie dei ragazzi della Compagnia si intrecciano con quelle dei personaggi danteschi, attraversando prima l’inferno della solitudine e dell’emarginazione fino all’incontro salvifico con una comunità accogliente, il paradiso delle persone che non si girano dall’altra parte.
L’opera teatrale ripercorre attraverso una ricerca meta testuale della lingua, storie di vita segnate dalla «diversità». Così come nella Divina Commedia, Dante portava a compimento una vera e propria indagine sull’umanità, analizzando gli aspetti più reconditi della società attraverso le buone e cattive pratiche dell’individuo, nello spettacolo l’intento è quello di compiere una ricerca sociale che parte dall’analisi della lingua dantesca e che descriva la fenomenologia dell’essere umano contemporaneo, attraverso la voce e l’espressione di ragazze e ragazzi con disabilità.

La Fondazione Rut e il Teatro Patologico hanno scelto di cooperare per rappresentare a Napoli la “Commedia Divina” – spiega Giovanna Martelli, segretario generale della fondazione Rut – una messa in scena allegorica del testo Dantesco dove ogni immagine cela un messaggio o un significato che ci rimanda all’oggi, alle sue virtù, ai vizi e alienazioni. La nostra ambizione, forse un’utopia e sicuramente un sogno: risvegliarci collettivamente per prendere parola e coscienza, metterci permanentemente nella ricerca di “essere di più e non di meno”, impegnati a sviluppare le proprie potenzialità allo scopo di non essere più vittime passive del sistema, bensì esseri pensanti tesi a produrre dei cambiamenti positivi”.

Dario D’Ambrosi è il fondatore e regista del Teatro Patologico, ma soprattutto uno sperimentatore sociale. Attraverso l’impegno con tantissimi ragazze e ragazzi hanno raggiunto risultati prestigiosi in giro per il mondo. I suoi spettacoli sono stati accolti dai più grandi teatri del mondo, e per la prima volta anche Napoli ha vissuto questa straordinaria esperienza collettiva di riscatto. Era il 1992 quando, grazie alla sua intuizione, nacque questa associazione che ha dato modo a tanti ragazzi e a tante ragazze in sofferenza di uscire letteralmente di casa e avvicinarsi al mondo del teatro. Grazie all’arte scenica e a uno studio meticoloso delle opere da rappresentare, il lavoro della Compagnia del Teatro Patologico è riuscito a far incontrare e a far coesistere il teatro con la malattia mentale, attraverso una costante ricerca metodologica che coinvolge ragazze e ragazzi diversamente abili. L’immaginazione, le azioni, l’improvvisazione e il lirismo degli attori provocano un crescendo di sensazioni ed emozioni nello spettatore.
Lo spettacolo, presentato da Stefania Colangelo e realizzato anche per iniziativa del coordinatore delle Politiche sociali in Campania per la Fondazione Rut, Mario D’Esposito, è stato patrocinato da Unesco, Regione Campania, Comune di Napoli, Città Metropolitana di Napoli, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Fondazione con il Sud e con il sostegno di Unione Industriali Napoli, Comin & Partners, Carpisa, Izi Spa, Inner Wheel Club di Napoli Reale.

foto di Antonio Forgione