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Napoli – In scena a Napoli presso Galleria Toledo – teatro stabile di innovazione, il 27 e 28 aprile 2023, dopo il successo di critica e pubblico della stagione scorsa, Massimo Roberto Beato cura l’adattamento della vicenda, ideata da Dino Buzzati, del maggiore Giovanni Drogo rievocata nella stanza della locanda dove egli è giunto, malato, costretto suo malgrado, a lasciare la Fortezza sotto assedio.

Nella regia di Jacopo Bezzi, Drogo, seduto su una poltrona mentre osserva fuori dalla finestra la sera e la notte incombente, in quest’ultimo atto di lucidità che precede la sua morte – e che egli vive come la sua “vera battaglia” – procede a ritroso con la mente per approdare a vari momenti della sua vita e domandarsi se essa poteva o doveva essere vissuta diversamente.
Il protagonista è lui, il Tenente Giovanni Drogo, neodiplomato all’Accademia Reale, pronto a prendere servizio alla Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si agitano in lui sentimenti contrastanti: la pena di lasciare la casa materna, la vita comoda della città e la sensazione che grandi eventi lo stiano aspettando. Una volta giunto però, una nuova indistinta malattia si impossessa lentamente di lui: è l’effetto della malìa esercitata dal deserto che si intravvede dalla Ridotta Nuova al confine con il nord, e dell’infinita attesa dei Tartari, popolo misterioso e leggendario che potrebbe attaccare da un momento all’altro, immortalando gli abitanti della Fortezza in un destino di gloria.
Primo capitolo della “Trilogia degli sconfitti” – progetto di ricerca triennale a cura de “La Compagnia dei Masnadieri” – Il Deserto dei Tartari offre l’occasione, attraverso il personaggio di Drogo, di riflettere sul destino degli ‘anti-soggetti’, coloro che seppur incapaci di adattarsi a un mondo di cui non comprendono le regole, sono tuttavia destinati a viverci. Più o meno consapevoli di essere l’incarnazione di una cultura minoritaria e inesorabilmente condannati al fallimento quando tentano di opporsi all’arbitrarietà e inconsistenza della vita, questi personaggi riescono a realizzare il proprio destino nel momento in cui accettano di combattere, fino in fondo, la battaglia degli sconfitti: consci delle circostanze date essi ingaggiano, infatti, una costante lotta interiore, dagli esiti incerti, per tradurre in atti consapevoli gli ideali superiori di cui sono portatori.
Il deserto dei Tartari è una riflessione infinitamente malinconica sul tempo che scorre inesorabile, senza che l’uomo ne abbia percezione nel suo distillare goccia dopo goccia la vita. In un luogo grigio e placido come la Fortezza Bastiani, sorvegliando l’immobile deserto dal quale un giorno o l’altro potrebbero spuntare i temuti Tartari, il tempo sembra non passare mai e il tenente Drogo appena ventenne, ritiene una punizione l’essere stato assegnato di guardia in un posto così ostile. Solo il rapporto sempre più simile, forse, ad un’amicizia con il suo superiore, il capitano Ortiz (interpretato da Massimo Roberto Beato) lo consola dai giorni sempre più simili tra di loro, fino a quando finalmente qualcosa si muove.
Nella regia di Jacopo Bezzi c’è un’impostazione ben precisa nel gestire la prossemica fra gli attori, nel forgiarli in un corpo che diventa per prima cosa strumento drammaturgico e anche scenografico. I tre sono distintamente caratterizzati, accomunati solo dai movimenti cadenzati, quasi fossero soldatini a carica o marionette, imbrigliati nel codice militaresco che impone rigidità e fissità nei movimenti così come nelle parole. L’andamento dei dialoghi segue una modulazione ben delineata, scandendo ogni episodio della vicenda con l’ausilio di fermo immagine accompagnati dalle musiche originali di Giorgio Stefanori.