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In alto, nella scena ancora buia, si illumina una grande marionetta di Pulcinella ed è un segnale, un rimandare alle radici napoletane e a un teatro popolare e alto assieme con, dall’altra parte del palcoscenico, appesi una paglietta e un cilindro, così quando Peppe Barra entra in scena e canta è già chiaro il contesto in cui vanno inseriti il suo recitare e la sua vita, che, in ”Buonasera a tutti’‘ al Teatro Off Off di Roma, rievoca per sommi capi tra canzoni, ricordi, testi recitati, con il piano dal vivo di Luca Urciolo.
Apre cantando ”Chisto core se traveste / come fosse ‘n coppa a nu teatro” e procede raccontando della sua nascita quasi in scena, dove a sua madre, la grande attrice e cantante Concetta Barra, si ruppero le acque mentre recitava al Valle di Roma, poi la sua infanzia all’isola di Procida, l’odore di confetti e di ragù nei giorni di festa, la voce della madre che canta in casa.
E’ un esempio alto di modernissimo, per la coscienza che presuppone, teatro all’antica italiana. Così, da una parte, dice di aver desiderato di diventare una guarattella (a Napoli i burattini con Pulcinella in testa), dall’altra ricorda Viviani e intona la sua ”Festa di Piedigrotta’‘, così passa da una canzone sui travestiti napoletani, con la storia di violenze tra Kociss e Catena, alla interpretazione personale rendendola viva e visibile, con divertimento e spudoratezza, di una novella del Basile (da cui nacque nel 1976 anche ”La gatta cenerentola’‘ di De Simone con la Compagnia di Nuovo Canto Popolare, di cui Peppe fu uno dei protagonisti, e del quale registrò venti favole negli anni ’90 per Radio Rai).
Nato il 24 luglio 1944 da genitori che vivono di teatro, inizia presto a recitare, poi cresce nel teatro di ricerca con Gennaro Vitiello, sentendosi professionista quando entra nel Teatro Esse, passando poi alla Nuova Compagnia di Canto Popolare che gli dà notorietà nazionale. Vive di teatro, ma compare anche in tv con Eduardo e arriva al cinema con ”Giallo napoletano” di Corbucci e poi ”La pelle” della Cavani, arrivando venti anni dopo, nel 2002, al ”Pinocchio” di Benigni come Grillo parlante e a partecipare a ”Passione” di Turturro, infine nel 2017 alla ”Napoli velata” di Ozpetek.
Nel 1980 aveva avuto il Premio IDI Saint Vincet come miglior attore dell’anno, e poi una Maschera d’oro, chiamato quindi al Carnevale di Venezia 1982 da Scaparro che ne intuisce le possibilità di far spettacolo da solo, nasce ”Peppe e Barra”, cui poi parteciperà la madre Concetta, con la quale creerà un duo indissolubile e di grande successo (sino alla morte di lei nel 1993) fondando una propria Compagnia. Scaparro poi lo vorrà anche Sancio Panza nel suo ”Don Chisciotte”, per citare uno degli oltre 50 spettacoli da lui interpretati nell’arco di oltre 60 anni di attività, con anche testi classici, come ”La mandragola” di Machiavelli. Intanto incide il primo disco e vince una Targa Tenco.
Una carriera intensa che lo vedrà, dopo il 2000, tornare con De Simone per ”La cantata dei pastori”, quindi partire per New York, dove riceverà anche la cittadinanza onoraria. Nel 2014 dall’Università di Napoli ottiene il master Honoris Causa in Letteratura, scrittura e critica teatrale. Ora, in questa sua serata autobiografica sul filo dei ricordi ma senza vera nostalgia, esce ed entra dalla scena nuda, tranne una sedia e tre scialli colorati appesi in alto, a ogni numero, cambiando giacca e colore, sino a quando si presenta con la nera maschera tradizionale di Pulcinella e la indossa, che è come esaltasse la sua forza espressiva, tutta giocata sulla parola, sulla sua voce bassa e calda, ma si modifica continuamente di toni, umori, colori, intensità, in modo mirabile e coinvolgente, capace di ridire o solo sorridere mentre recita con un gestualità minima o canta e poi di commuoversi o di mostrare irritazione o rabbia, di essere vero o ironico, di giocare di bravura con scioglilingua e con il variare rapidissimo dei ritmi, con quella apparente naturalezza propria di chi sulla scena ritrova se stesso, come ogni grande attore.
Dopo l’intenso Pulcinella, ecco allora per esempio la canzone 1930 ‘‘Balocchi e profumi”, ripetendo con voce infantile straziata quel ”Mamma, mormora la bambina / Mentre pieni di pianto ha gli occhi” perché lei pensa solo ai suoi profumi, finché la piccola si ammala e lei la riempie di giocattoli, ma questa reclina il capo e muore, e Barra soffre e ride assieme di tanto, troppo strazio. E così siamo alla fine, alla chiusura con un suo cavallo di battaglia, ”Tammuriata nera”, di cui ha oramai fatto un grido di protesta e dolore in nome di tutte le violenze di ieri e oggi subite dalle donne, con un vigore, una passione, tra urlo e narrazione commovente, che il pubblico partecipa e batte le mani al suo ritmo, sino a esplodere nell’applauso finale, alzandosi tutti in piedi.