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Si doveva costituire una società, a tutti i costi, il prima possibile e bisognava farlo in nome e per conto della camorra, e in particolare dei clan Polverino e dei fedelissimi dei Simeoli. A deciderlo sarebbero stati Aniello e Raffaele Cesaro, gli imprenditori fratelli del parlamentare Luigi, in carcere dal 24 maggio per l’accusa di associazione mafiosa, riciclaggio, minaccia e falsità materiale e
ideologica commessa da pubblico ufficiale, reati aggravati dalle finalità mafiose. Sono consistenti i nuovi atti depositata dai pm della Dda di Napoli, Mariella Di Mauro e Giuseppe Visone, che stanno indagando sulle infiltrazioni (presunte) della camorra nel piano di insediamento di Marano che avrebbe permesso alla camorra di “ripulire” centinaia di milioni di euro. Questa mattina per i fratelli Cesaro si sarebbe dovuto discutere l’udienza al Tribunale del Riesame che avrebbe dovuto decidere se revocare o meno gli arresti per i due imprenditori, ma gli avvocati Vincenzo Maiello, Raffaele Quaranta e Paolo Trofino hanno deciso di posticipare la loro discussione per poter leggere i nuovi atti di accusa. In particolare il commercialisti dei Cesaro ha raccontato di aver assistito ad un incontro tra Aniello e Raffaele Cesaro e alcuni esponenti del clan Polverino-Simeoli di Marano. Secondo il professionista a quell’incontro ci sarebbe parlato di affari e in particolare della necessita’ di costituire una societa’ controllata dal clan, proprio per la gestione del Pip di Marano. Inoltre gli inquirenti hanno anche interrogato un collaboratore di giustizia, Claudio Lamino, il quale ha affermato, tra l’altro, che i Cesaro non erano vittime di attentati intimidatori avvenuti nel comune di Sant’Antimo, bensì «carnefici», e ha sostenuto che entrambi erano legati al clan Puca, egemone nella zona.