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A poche ore dallo sciopero di domani, non si placa lo scontro sul lavoro tra maggioranza e opposizioni. A scatenare l’ultimo, durissimo, botta e risposta la trasformazione in un emendamento del centrodestra della proposta delle opposizioni sul salario minimo.

“Attraverso lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello, prevedere strumenti di incentivazione atti a favorire lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello con finalità adattive, anche per fare fronte alle diversificate necessità correlate all’incremento del costo della vita e alle differenze dei costi su base territoriale”: il contenuto dell’emendamento, depositato in Commissione Lavoro della Camera, suscita accese reazioni da parte del PD e del M5S. Arturo Scotto, capogruppo del PD in commissione Lavoro della Camera, ha parlato di gabbie salariali e contratti pirata, definendo il testo un “colpo di mano che trasforma il Parlamento in un soprammobile al servizio dell’esecutivo”.

Dello stesso avviso, la capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera Valentina Barzotti, che affida a una durissima nota la sua replica: “La maggioranza preannuncia un emendamento alla nostra proposta. Dalle anticipazioni ci pare di poter dire senza il rischio di essere smentiti che ci sarà scritto che Giorgia Meloni dice ‘no’ al salario minimo e anzi legalizza gli stipendi da fame che oggi sono previsti da alcuni contratti collettivi. Non solo. Sempre dalle anticipazioni emerge il ritorno di un principio, pericoloso e anacronistico, come quello delle ‘gabbie salariali’ che, se già non bastasse l’Autonomia differenziata, provocherà ulteriori spaccature fra Nord e Sud”.

Il timore, infatti, è proprio questo: autonomia differenziata e gabbie salariali andrebbero a stringere il cappio intorno al Sud, dove, anche al netto di un costo più basso di alcuni prodotti, peraltro ormai reso risibile dai criteri di uniformità della spesa imposti dalla grande distribuzione, il costo di alcuni servizi raggiunge cifre molto più alte rispetto al Nord: assicurazioni auto, prestazioni mediche private – necessarie a causa della scarsissima disponibilità del pubblico –; assistenza all’infanzia, per la quasi totale assenza di asili nido e lo scarso numero di scuole pubbliche a tempo pieno, solo per fare qualche esempio.

A scatenare le critiche, anche un altro dei principi nell’esercizio della delega previsti dall’emendamento, che prevede l’intervento diretto del Governo nei casi in cui il contratto di lavoro manchi del tutto: “Per ciascun contratto scaduto e non rinnovato entro i termini previsti dalle parti sociali” e per i settori “nei quali manca una contrattazione di riferimento”, prevedere l’intervento diretto del ministero del Lavoro con il fine di adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi complessivi, tenendo conto delle peculiarità delle categorie di riferimento e considerando i trattamenti economici minimi complessivi previsti da contratti collettivi più applicati vigenti in settori affini”. Per Scotto è “gravissimo” che “una legge di iniziativa parlamentare firmata da tutte le opposizioni e su cui abbiamo raccolto oltre mezzo milione di firme viene trasformata in una delega al governo, è un assaggio di premierato e l’idea che il Parlamento non deve legiferare più e questo tentativo rischia di cancellare il contenuto della nostra proposta”. In aula “arriverà il loro colpo di mano, la loro delega al governo, la loro ignobile operazione politica, di destrutturazione di un’operazione importante come quella del salario minimo per tutte le lavoratrici e i lavoratori poveri”, mentre per la Barzotti esiste un serio problema istituzionale, visto che “una proposta delle opposizioni viene soffocata da un’ennesima delega al Governo”.