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L’uso dei social network “non va demonizzato” ma “governato con consapevolezza”. Lo ha ribadito il presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, parlando delle ‘challenge’ social tra adolescenti nel corso di una audizione davanti alla Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati.

Sfide – ha ricordato Stanzione – che “non presentano tutte e soltanto contenuti autolesionistici o comunque pericolosi: ve ne sono anche di innocue, come quella relativa alla pubblicazione della lista dei propri libri o film preferiti o di foto degli utenti da piccoli. Ma è evidente come anche soltanto la possibilità del coinvolgimento di minori in ‘giochi’ potenzialmente persino mortali, per effetto dell’esposizione a contenuti dalla valenza manipolatoria o, comunque, fortemente condizionante, non può lasciare inerti le istituzioni”.

Per il Garante, “il tema va inquadrato all’interno della più ampia questione dell’uso inadeguato della rete e, in particolare, dei social network da parte dei minori. Esso va regolamentato e gestito con attenzione, per consentire ai ragazzi di fruire delle molte opportunità – di conoscenza, informazione, relazioni sociali – offerte dalla rete, in condizioni tuttavia di sicurezza”.

“Va, in particolare, evitata – ha proseguito Stanzione – l’esposizione dei ragazzi a contenuti e contesti inadeguati per il grado di sviluppo, anche in termini di autodeterminazione, della loro personalità che, va ricordato, anche negli adolescenti è ancora in formazione e, dunque, maggiormente suscettibile di condizionamento. Fenomeni drammatici come il grooming, il cyberbullismo, il revenge-porn, il coinvolgimento in ‘giochi’ mortali hanno infatti in comune, pur nelle loro differenze, l’esposizione del minore a un mezzo, quale la Rete, che se utilizzato in modo sbagliato o in assenza della necessaria consapevolezza e capacità di autodeterminazione, può avere effetti fortemente lesivi”.

“Per un minore – ha ricordato il Garante della privacy – è, infatti, spesso difficile opporre un diniego a una richiesta di condivisione di immagini o, comunque, contenuti della cui lesività non sempre riesce ad avere contezza: questo spiega molto delle dinamiche del cyberbullismo, del revenge porn ma anche del grooming. Molti adescamenti nascono, infatti, con la richiesta al minore di cessione di immagini o dati privatissimi in cambio di altro, con la possibilità, pericolosissima, di incontri non più solo virtuali. Rispetto al coinvolgimento nelle sfide anche potenzialmente autolesive gioca, invece, la componente ulteriore del rito d’iniziazione, della volontà del minore, tanto più se fragile, di sentirsi accettato dal ‘gruppo’ mostrandosi privo d’inibizioni, spregiudicato e disposto a mettere a rischio, talvolta, persino la propria stessa vita”.