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Erano le 20.50 del 23 settembre 1985 quando dieci colpi di pistola uccisero Giancarlo Siani, Giornalista napoletano. Aveva soltanto 26 anni Giancarlo, ma la sua firma faceva già infuriare e tremare la camorra partenopea, i cui giri di interesse venivano raccontati con puntualità e senza alcun timore dalle colonne de “Il Mattino”, dove Siani lavorava da precario. Un cronista talmente bravo da essere considerato scomodo dalla criminalità organizzata. Andava fermato. Da qui la condanna a morte, eseguita da alcuni sicari che freddarono Giancarlo sotto casa sua, in via Vincenzo Romaniello, nella zona dell’Arenella, quando era ancora a bordo della sua ormai iconica Citroen Mèhari

Un omicidio per cui la giustizia ha poi condannato i mandanti Lorenzo e Angelo Nuvoletta eLuigi Braccanti e gli esecutori, Ciro Cappuccio e Armando Del Core.

Un archeologo della verità”, la definizione coniata per Siani da don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Quattro parole buone per sintetizzare la capacità del cronista napoletano di scavare sempre a fondo, senza accontentarsi mai di ricostruzioni di comodo o di facciata. Un esempio per chi ama il giornalismo e ancor di più per coloro che intendono combattere ingiustizie e malaffare. Doveroso, da parte nostra, rinnovare il suo ricordo.