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Benevento – Dicono che uno come lui non nasce tutti i giorni. Meticoloso, attento, giovane e saggio. Danilo Ventura deve ancora compiere 33 anni ma ha l’aria di chi la sa lunga. I suoi ragazzi lo amano, lo acclamano, non accettano l’idea di vedere qualcun altro al suo posto alla guida della Pallamano Benevento. Lì, a impartire direttive che giovani e senatori assimilano allo stesso modo. 

Sì, perché un Italiano solo masticato in certi casi è una barriera facilmente abbattibile, in quanto questo giovane portoghese sembra parlare col cuore. Alcuni di quei ragazzi, i suoi ragazzi, hanno confidato che dopo il suo discorso all’intervallo nella semifinale contro Sassari hanno avvertito una scossa tale da far credere loro che avrebbero potuto rimontare e battere i sardi – una corazzata – e conquistare la promozione in A1. Un’illusione, forse, ma nel secondo tempo si è vista una Pallamano Benevento gladiatoria, aggressiva, temeraria. Che è andata ben oltre i suoi stessi limiti. E l’impresa era a un passo dall’effettivo compimento. 

Lo abbiamo intervistato, Ace’ Ventura. Gli abbiamo chiesto quante cose questa esperienza sia stata in grado di trasmettergli. Lo abbiamo stuzzicato sul suo futuro e lo abbiamo spinto a confidarci quello che secondo lui è stato il segreto di una seconda parte di stagione indimenticabile.

La risposta a quest’ultima domanda è riassumibile in un concetto molto semplice: identità. Perché per iscrivere una squadra al campionato le procedure sono semplici (basta sborsare una discreta cifra e compilare moduli), ma veder scendere in campo i suoi componenti con la mentalità storica dei predecessori, dal più piccolo al più grande, non è cosa da tutti. 

E’ una magia che si ripete ormai da otto stagioni. Otto stagioni in cui sono cambiati tanti giocatori e allenatori, sono accaduti avvenimenti, si sono verificate promozioni, retrocessioni, sconfitte e vittorie. Ma quello spirito, quella voglia, quella fame, hanno dipinto le stanze dell’attuale PalaFerrara, il fondo di gioco e le sue mura, alimentando i sogni di un team che sta scrivendo di anno in anno pagine importanti dello sport sannita. 

E in effetti qualcosa in comune con l’‘acchiappanimali’ interpretato da Jim Carrey nella pellicola del ’94, il nostro Ventura, ce l’ha. Quell’investigatore fu assoldato per ritrovare, dopo un rapimento, ‘Fiocco di Neve’, la mascotte della squadra dei Miami Dolphins, che senza il loro delfino non avrebbero avuto speranze di vittoria al Super Bowl; il portoghese della Pallamano Benevento fu ingaggiato dai dirigenti La Peccerella e Schipani lo scorso gennaio dopo l’addio a sorpresa dell’argentino Mariano Munoz. E come si fa a vincere senza allenatore?

Con una seconda parte di stagione complicata alle porte e un progetto in divenire, la società mise tutto nelle mani di questo giovane talento della panchina, alla sua prima esperienza estera: “Non avevo mai superato i confini del Portogallo per allenare, ero sempre stato nel “Ginásio Clube de Santo Tirso”. Poi è arrivata la chiamata della Pallamano Benevento, una società che somiglia molto a quella in cui ero. E’ una famiglia”, esordisce Ventura. 

Qual è la tua impressione sulla tua esperienza italiana a cinque mesi di distanza?
“La Pallamano Benevento è composta da persone che amano questo sport, che hanno fatto un bel lavoro per permettere a tanti ragazzi e ragazze di giocare a pallamano. E’ necessario reclutare nuovi atleti, stabilire protocolli d’intesa con le scuole. Il progetto è ambizioso, la strada è giusta, ma tanto c’è ancora da fare”. 

Come definisci il tuo rapporto con la città?
“Benevento è una città tranquilla, dove si può camminare vicino al fiume o per il centro senza alcun problema. Mi piace questa città, che definirei fatta su misura per vivere bene. Non è né troppo grande né troppo piccola. Mi sto trovando benissimo”. 

Le tue valutazioni sul percorso di crescita della prima squadra sono positive?
“La squadra maschile è un po’ particolare perché abbiamo soltanto sette giocatori che non hanno meno di 21 anni, quindi non c’è moltissima esperienza. Appena arrivai notai che non c’era molto equilibrio nei vari ruoli, ma non è sempre tutto come sembra inizialmente. Dopo aver conosciuto meglio i ragazzi, posso dire che si è formato un bel gruppo che ha dato davvero tutto per la maglia”. 

Un giudizio sul campionato italiano di serie A2?
“Posso dirlo. Per me è stato una delusione generale, con bassa competitività, poco gioco e molte differenze tra i tre gironi. Il format del campionato andrebbe rivisto, penso che le squadre dovrebbero pensare al loro futuro e preparare meglio i loro giovani per consentirgli di arrivare con maggiori qualità ed esperienza in prima squadra”

La Pallamano Benevento è stata la vera sorpresa delle Final Eight igiocate a Cassano Magnago. Sei stupito anche tu o eri sicuro che avreste raggiunto le semifinali giocando così bene?
“Possiamo definirci la sorpresa del campionato, ma tra di noi sapevamo che il lavoro quotidiano e serio che abbiamo fatto avrebbe potuto dare i suoi frutti. Pur essendo sulla carta la squadra più debole, abbiamo fatto molto bene. L’unico rimpianto che ho è che non siamo stati in grado di allenarci quanto volevamo durante la stagione perché la maggior parte della squadra ha partecipato ai tornei under 19 e under 21. Ma abbiamo le idee chiare e la gioia di fare ciò che ci piace. Ci siamo detti che raggiungere la semifinale sarebbe stato come un titolo per noi e che tutto ciò che avremmo fatto dopo lo avremmo fatto senza pressione, perché il nostro obiettivo era già stato raggiunto”.

Quali sono i segreti della tua squadra? Che rapporto hai con i giocatori?
“Non c’è un segreto, solo una serie di idee che sono condivise e che il gruppo accetta, con più o meno difficoltà. Penso che il vero segreto sia l’ambiente della società: un gruppo di ex giocatori che cercano di tramandare la loro passione per la pallamano alle nuove generazioni. Sono un allenatore che parla molto. Troppo spesso anche. Ma mi piace che i giocatori capiscano la ragione delle scelte. Trovo che l’ambiente sia buono, i ragazzi sono motivati e possono sempre pormi domande. Sono sempre onesto e mi piace parlare faccia a faccia. Ecco, mi aspetto lo stesso dai giocatori, in modo che tutti possano sentirsi parte della squadra”

Identità. La Pallamano Benevento, se vogliamo, si distingue per questo. C’è un episodio che lo testimonia? 
“Una cosa che rimarrà nella mia memoria per sempre sono le cene del venerdì. Il presidente e i dirigenti organizzano sempre una cena al termine dell’allenamento, con tutti gli atleti e le persone legate al club e condividono molto di più oltre al cibo: raccontano storie di vita e pallamano. La prima volta che li ho visti mangiare e parlare e ridere è stata una sorpresa positiva e penso chela cosa funzioni solo in un club come questo e con atleti di questo genere”

C’è un giocatore a cui non rinunceresti mai?
“È una domanda difficile, perché in un buon gruppo ci sono molti giocatori indispensabili. In questa squadra a mio avviso ci sono quattro giocatori che sono, ognuno a suo modo, indispensabili: Antonio Chiumiento per il cuore, Hugo Silva (portoghese anche lui, a sinistra nella foto) per la qualità, Francisco Morettin per la forza fisica e mentale. E poi Andrea Sangiuolo.  Andrea è un signore della pallamano italiana, uno che dovrebbe essere preservato per sempre e non dovrebbe mai smettere di giocare. Il suo è un esempio come uomo e come giocatore. Io non avevo mai incontrato nessuno come lui. Si allena come un giovane giocatore, ascolta ciò che dico come se alcune cose le sentisse per la prima volta e dà l’esempio di cosa significhi essere un professionista. È stato un piacere allenare una persona come lui”.

Ci spieghi la tua filosofia di pallamano in poche, semplici parole?
“La pallamano è una passione che ho da 24 anni e che ogni giorno cresce a dismisura. Secondo me è un gioco veloce in cui bisogna pensare velocemente e avere un’enorme capacità fisica. In questo modo, mi piace che le mie squadre siano aggressive in difesa, cercando di indurre all’errore l’avversario e approfittando del contropiede come fase principale di attacco. I giocatori devono essere preparati individualmente per risolvere i problemi manifestati dalla partita e devono essere in grado di farlo sotto la pressione del tempo e della fatica. Tutto questo sulla base di una squadra con buoni valori umani, che comprendono il valore dell’impegno e del sacrificio. E c’è una regola: in uno sport di squadra nessuno è più grande del gruppo”.

Il tuo futuro sarà a Benevento? C’è un bel progetto sul settore giovanile, con tanti talenti. Vorresti rimanere o pensi di andare via?
“Non ho avuto contatti con altre squadre, posso solo dire che sono stato trattato molto bene e che sono molto felice qui. Non è facile sentirsi a casa come succede qui. Sono venuto a Benevento per iniziare un sogno: essere un allenatore professionista. Non nascondo che penso di farlo in un contesto in cui i giocatori fanno questo sport per professione. Al momento ho ancora un mese di contratto con il Benenvento e aiuterò a raggiungere gli obiettivi delle altre squadre più giovani del club. Sicuramente durante questo periodo dovrò parlare con il presidente e il direttore sportivo del mio futuro. A livello di talento la Pallamano Benevento è messa benissimo, ha un gran futuro a breve termine, ma penso che ci sia ancora molto da fare per realizzare tutto”.

Abbiamo finito, è il momento dei saluti. Ne hai qualcuno in particolare?
“Certo. Vorrei ringraziare il presidente Carlo La Peccerella e il direttore sportivo Antonio Schipani per avermi dato questa opportunità senza conoscermi bene, e tutte le persone del club che combattono quotidianamente per la pallamano e il futuro di tanti giovani”.