- Pubblicità -
Tempo di lettura: 4 minuti

Benevento – La comunità locale è più povera: le manca uno dei figli migliori. Questo era il sentimento che si toccava con mano questo pomeriggio, insieme allo strazio, al dolore, alle lacrime sul sagrato della Chiesa del Sacro Cuore dove si è celebrato il rito funebre di Giovanni Salemme, il 28enne di Benevento, perito la notte tra giovedì e venerdì scorso in località Ponte delle Tavole sulla strada che conduce a San Giorgio del Sannio mentre alla guida del suo scooter stava per rincasare.

All’arrivo del feretro dalla Sala Mortuaria dell’Ospedale “Rummo“, la commozione è diventata, se possibile, ancora più intensa e lancinante in un pomeriggio da 35 gradi all’ombra a rendere ancora più insopportabile il motivo che ha spinto tantissime decine e decine di persone a convenire nello spiazzale alla sommità del Viale Mellusi dominato dal Convento dei Cappuccini. Un silenzio pieno di incredulità ha accolta la salma. All’uscita palloncini bianchi e un applauso per salutare Jo, come lo chiamavano tutti, per l’ultima volta. 

Presente anche il comandante dei Carabinieri di Benevento Alessandro Puel, per esternare il suo dolore e la sua solidarietà alla famiglia di Giovanni e al suo papà, Francesco, avendo quest’ultimo un’attività commerciale nei pressi della Stazione dei Carabinieri  

Sulla bara, invece, avvolta da un grandissimo fascio di fiori, una bella fotografia con il suo sorriso in primo piano. 

Mentre i genitori di Giovanni, Francesco e Anna, e la sorella Ilaria in preda ad un dolore che non si può nemmeno tentare di descrivere, cercavano a fatica di seguire quella bara, nessuno tra i presenti, in realtà, era in grado di reprimere la propria sofferenza.

Brillante studente, attento lettore di testi di Filosofia, laureato, avviato ad una carriera di docente, nonostante le ben note difficoltà in cui versa la scuola italiana, carente di strutture, di mezzi ed anche di norme in grado di premiare qualità e meriti, Giovanni Salemme aveva mostrato di saper camminare per il mondo, anche se paradossalmente è caduto dalla sua Vespa e per questo ha perso la vita in un incidente dai contorni ancora oscuri.

La sua triste e prematura fine ha gettato nello sconforto i tantissimi amici che aveva saputo conquistarsi con la sua personalità: compagni di scuola, ma anche compagni di una vita, per un ragazzo che, grazie ai suoi variegati interessi culturali, la sua voglia di conoscere e di sapere, la sua attenzione alle piccole e grandi cose della vita, ha saputo creare motivi di attrazione e di interesse per i coetanei, ma anche di ammirazione per quelli più avanti negli anni. Chi lo ha frequentato fino a pochi minuti prima dell’ultimo viaggio in Vespa non riesce a capacitarsi di come sia potuto accadere quell’incidente stradale che ha coinvolto un ragazzo che, come dicono tutti, non era affatto spericolato alla guida. Chi ha preso la parola nel corso dell’ultimo saluto in Chiesa ha trovato parole strazianti per descrivere in qualche misura l’entità di una perdita. Anche se tutti sanno che nessun discorso potrà assolvere al compito di descrivere ciò che già oggi manca e non sarà mai più trovato. Con voce rotta dalla commozione gli amici hanno detto: “Ci salverai in alti mari in tempesta”. “Eri un pozzo di sapere”. “Sei stato un esteta che ha saputo godersi la vita: i tuoi sigari, i viaggi”. “Ci hai dato un dolore grande quanto grande è stata la gioia di averti conosciuto”. “Buon viaggio, Jò”. “Una presenza silenziosa, ma forte”.

Il difficile compito di alleviare il lancinante dolore dei genitori, dei parenti e degli amici è toccato a Padre Giampiero Canelli che nella sua Omelia, ha detto: “La morte di un ragazzo è qualcosa di innaturale per tutti noi. Le lacrime di una mamma sono uno strazio. Oggi la morte ha un sapore più violento perché ha colpito una persona giovane, nel fiore degli anni, con la vita ancora da percorrere”.

Infine ha aggiunto:Occorre avere fede, solo così si può rimanere in piedi. Il dolore, lo sconcerto, versare balsamo della fede in una realtà dura da accettare”.