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Mazza e panelle diceva qualcuno. Io, personalmente, non c’ho mai creduto. Si, lo so, non sarete tutti d’accordo, a volte il bastone e la carota può essere la giusta sintesi educativa, nel marasma del lavoro genitoriale che, per chi si reputa padre o madre non solo all’anagrafe, resta la professione più difficile del mondo.

E in fondo lo scopri solo dopo il parto. Prima te lo dicono tutti ma ci credi poco. Meno di quanto lo sia effettivamente. Ed allora provi ad essere, per chi si reputa padre o madre non solo all’anagrafe, il miglior genitore possibile, magari ti accorgi (sicuramente) pure di quante cose ti dicevano i tuoi quando stavi dall’altra parte, quella della prole, e ti rendi conto di quanta ragione c’era in ogni parola ma tu eri giovane, qualche volta ribelle, strafottente e lasciavi cadere cosi, nel vuoto, sperando, oggi, che non succeda anche a te, che sei dall’altra parte, quella del genitore.

Ognuno, si dirà, usa il suo metodo, lo scopri quando tua moglie entra nel gruppo watshapp delle mamme (Oh mio Dio), lo scopri frequentando altri genitori pronti a dire “mio figlio ha iniziato a parlare a due mesi e mezzo”, “mia figlia non guarda i cartoni ma preferisce Piero Angela” “il mio bambino ha iniziato a camminare dopo la prima poppata”. E tu guardi il tuo e dici: “Dimmi almeno quando devi andare in bagno altrimenti qua facciamo figure di pupù”. Eppure, con amore, che è innato, lo guardi e dici “io ci provo, provo ad essere il miglior genitore possibile, provo a darti l’educazione che meriti, non necessariamente (sicuramente no) alzando le mani”.

Mazza e panelle diceva qualcuno. Panelle e dialogo preferisco io. Credo fortemente che il dono della parola sia spesso superiore a qualsiasi atteggiamento di violenza, tra adulti e ancor di più nell’insegnamento da offrire ai nostri figli. Siamo l’esempio che devono seguire e in quanto tale tenuti e obbligati a comportarci secondo i canoni dell’altruismo, della gentilezza, del rispetto. Verso se stessi e senza dubbi verso il prossimo.

Concludendo le auto confessioni e tornando al nocciolo della questione, l’episodio di cronaca capitato nelle ultime ore a Benevento è grave. Una mamma che davanti alla figlioletta, di tre anni (ma anche se ne aveva 20 non era il massimo) picchia la maestra di scuola, capovolge il concetto dell’educazione. Magari avrà avuto una sua ragione, avrà fatto la sua valutazione, ci sarà pur stato qualcosa che intendeva comunicare. Ma è appunto su questo, sulla comunicazione, che la forma utilizzata appare, oggettivamente, sbagliata.

Non sarò io, non saremo certamente noi a condannare, privatamente o pubblicamente, la mamma oggetto dell’accaduto. Ci penseranno, se necessario, gli organi competenti. Ci dispiace ad ogni modo per lei, per essere arrivata a tanto. E ci dispiace, senza retorica e con totale sincerità, per la maestra che svolge una funzione pubblica e mai dovrebbe ritrovarsi a rapportarsi con persone pronte ad utilizzare violenza per esprimere un concetto. Ma, e non ce ne voglia nessuno, in questa storia, ci dispiace (soprattutto) per la bambina. Che mai dovrebbe assistere a tali scene.