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Emergenza vuol dire spesso straordinarietà. E’ una delle lezioni che ci ha impartito il Covid. Assunto particolarmente attuale se si parla di ospedali, presidii letteralmente travolti dalla pandemia e tenuti in piedi – in tanti casi e a più riprese – dalla professionalità di medici e infermieri. Ma le difficoltà restano, specialmente quando riemergono pecche ataviche della nostra sanità, una su tutte la disorganizzazione.

Emblematico quanto accaduto la scorsa notte al ‘San Pio’ dove il 118 ha trasportato una venticinquenne del capoluogo, ormai prossima al parto. Positiva al Coronavirus, la sua esperienza si è rivelata decisamente diversa da quella vissuta da tutte le altre neomamme. Al momento, infatti, il principale nosocomio sannita è sprovvisto del punto nascita Covid. Una lacuna che sarà presto colmata, questione – si spera – di giorni. Ma un neonato non può aspettare. E allora? Niente sala parto, luogo off limits per i pazienti positivi.

Il travaglio è stato completato in un normale ambulatorio, spazio che non risponde – evidentemente – ai requisiti di una sala operatoria sia in termini di attrezzature che di condizioni. Fortunatamente non è intervenuta alcuna complicanza e tutto si è concluso nel migliore dei modi. La situazione di provvisorietà, però, permane. Terminato il parto, il problema è diventato la degenza. Dove trasferire la neomamma? Certo non al reparto ginecologia: una paziente con Covid non può stare a contatto con donne non contagiate. Ma neanche è possibile ricoverarla negli spazi che l’ospedale ha riservato alla cura delle persone colpite dal virus perché mancano le figure professionali utili a seguire la fase di post partum.

La soluzione? Al momento in cui vi scriviamo ancora non è stata trovata. La venticinquenne è ancora lì, nell’ambulatorio adiacente alla sala di attesa di ginecologia, separata dal resto del mondo (come da foto in pagina) solo da un paravento. Si poteva fare di più? Si poteva fare di meglio? La risposta appare scontata.