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di Anna Rita Santabarbara

Il 25 aprile si ricorda la Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista. Ma per Casal di Principe si tratta di una data che ha un duplice valore simbolico. Il 25 aprile 2006 veniva fondato il Comitato Don Peppe Diana, un’associazione di liberi cittadini che chiedono una seconda ma non meno importante libertà: quella dalla camorra. Ed oggi, ad oltre un decennio di distanza, questi cittadini animati dalla voglia di giustizia e riscatto sociale possono dire di avere raggiunto importanti traguardi. Primo tra tutti il recupero dei beni confiscati alla camorra, uno dei quali oggi occupato proprio dal Comitato Don Diana.

Tra le iniziative degne di note, nel 12esimo anniversario della sua fondazione, il Comitato ricorda la pubblicazione del “Manifesto delle Terre di don Peppe Diana”, un documento in cui sono stati riassunti i punti cardine della lotta alla camorra e le strategie per attuarla partendo dalla giustizia.

Gli imprenditori”, recita il documento, “devono essere messi in condizione di potersi opporre alle estorsioni in ragionevole sicurezza, molti non si sentono ancora liberi di farlo e vanno aiutati a capire”. Per farlo, “bisogna limitare o rendere meno frequente quella turnazione che rischia di interrompere indagini, far perdere il filo delle connessioni spesso sfuggevoli”. E ancora, “rendere più efficace e concreto le collaborazioni socio/economiche tra imprese sociali e imprenditori sani del mondo profit”, nonché “ripartire dal rilancio socio-economico di Castel Volturno”.

Ma la giustizia da sola non basta. È necessario che questa sia accompagnata da forma di sviluppo ed economia sociale. Partendo proprio dai beni confiscati, che possono diventare modello economico attraverso la creazione di cooperative e altre infrastrutture che, oltre a fornire servizi, diventino appetibile e attrattive per i giovani che incontrano forme di reddito alternative a quelle delle economie criminali. Il percorso di riscatto sociale, tuttavia, non può escludere le famiglie dei camorristi che, a seguito di una “pubblica abiura”, devono avere una chance sociale ed essere riammessi nel tessuto collettivo.

Da tale processo non può, ovviamente, essere esclusa l’educazione. Se, nel manifesto programmatico, il Comitato Don Peppe parla di opportunità di formazione e crescita professionale, dall’altro promette l’impegno nella lotta al contrasto delle varie forme di dipendenza diffuse soprattutto tra i più giovani: ludopatia, alcool e droga in primis.

È chiaro, però, che tutto ciò non può essere attuato senza una reale rigenerazione della pubblica amministrazione. “Corruzione e sfiducia dei cittadini, è il binomio attorno al quale si scrive la crisi della Pubblica Amministrazione che se inficiata da una mancata onestà traccia l’immobilismo e la decrescita del territorio”.

A lavorare al manifesto sono intervenuti professionisti provenienti da tutti i settori pubblici e privati: magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, medici, docenti, sociologi, cittadini, imprenditori, sacerdoti, economisti, formatori, amministratori, studenti, operai, volontari. Tutti animati da un comune obiettivo: mettere in campo le proprie conoscenze per attuare progetti e azioni concrete finalizzate a liberare le Terre di Don Diana dalla camorra.

Perché, come recita lo slogan lanciato lo scorso 19 marzo durante gli Stati Generali, “forse siamo in ritardo, ma siamo ancora in tempo”.