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NAPOLI – Dato che Tullio Pironti è morto solo quanto basta per essere benedetto e seppellito facendosi meglio gustare nel ricordo, ieri, nella sua piazza Dante, i suoi gli hanno organizzato una bella festa di compleanno: a 9 mesi dalla scomparsa, sono 85 anni.
 
E quindi: teatro del Convitto Nazionale affollato. Sul palco, qualcuno dei più intimi: la scrittrice Antonella Cilento, l’editor Antonio Franchini, l’ex collaboratore Marco Ottaiano, il giornalista Francesco Palmieri.
 
Il regalo attorno al quale amici e parenti si sono radunati è stato l’edizione Bompiani dell’autobiografia del festeggiato intitolata “Libri e cazzotti”.
 
Tullio Pironti, classe 1937, da giovanotto, prima di dedicarsi alla libreria e alla casa editrice che porta il suo nome, è stato un buon pugile.
 
E quindi: è stato del tutto naturale che anche ieri, alla sua festa, a qualcuno sia venuta voglia di dare un paio di ganci. Sebbene servisse, con tutta evidenza, un pretesto. E ci si dovesse – come in effetti è stato fatto – alzare dalla platea e protestare a gran voce perchè dal palco non si era detto abbastanza che Tullio Pironti è stato uno che “a Napoli è stato capace di fare cultura”.
 
La qual cosa, “fare cultura”, evidentemente, al di là della provocazione, era intesa come qualcosa di eroico in sè. Del resto: quante librerie, lungo il loro quadrilatero, tra la parte alta di via Foria, via Costantinopoli, Port’Alba e piazza Dante, hanno dovuto appendere i guantoni al chiodo?
 
Ma forse i cazzotti non erano solo per questo. Tant’è che, a un certo punto, quando Ottaiano l’ha spinta a riflettere che, alla morte di Pironti, il 15 settembre 2021, i giornali non l’hanno celebrato abbastanza, Antonella Cilento l’ha messa così: “E’ una questione anche di potere, di peso culturale che ha Napoli”.
 
Gira e rigira, la chiave del match è sempre questa.
 
Ma prima ancora: a che categoria iscriviamo Napoli? Siamo davvero pesi massimi?
 
Guai, in ogni caso, a lamentarsi. Anche quando i cazzotti arrivano in pieno viso. Perché proprio l’autobiografia di Pironti, per la Cilento, “è un libro che chiede di esistere, di resistere. E, se necessario, fare anche la guerra”. Più che mai opportuno “in un momento in cui nessuno si prende più dei rischi e questo lo si nasconde dietro una parola brutta come resilienza. Ecco: semmai, bisogna resistere, non limitarsi ad essere resilienti. Vivere, non sopravvivere”
 
Anche perchè dal ring non si può scendere.
 
Antonio Franchini dirà che “se oggi tutto è fiction e tutti si inventano una vita che in realtà non hanno”, lui, Tullio, “è stato sempre vero: un vero pugile e un vero editore, capace, in quest’ultima veste, di mettere ko anche i grandi del Nord”.
 
Certo, però: Franchini, nella sua prefazione alla ristampa Bompiani, riprende una riflessione che Pironti pensò di esternare a Fernanda Pivano: “Dovrei dirle di quella sensazione che mi porto appresso da anni: che sempre ho mancato l’ultimo traguardo. Penso ai momenti di esaltazione, a come ho incominciato, agli incontri che ho fatto, ai libri che ho pubblicato, a quella irrequieta infelicità e instabilità della nostra esistenza a Napoli, impegnati a inventarci la vita mentre la vita passa”. Ecco: proprio come una festa, pur con qualche cazzotto.