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«Nel nome del popolo italiano ergastolo per tutti e due gli imputati». Lo ha scritto su Facebook mentre ancora le lacrime le riempivano gli occhi. Si è chiuso un altro capitolo della sua battaglia personale. Susy Cimminiello adesso può sorridere, ma mai essere felice per quello che le hanno fatto.

Ergastolo. Questa la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli per Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, considerati rispettivamente il mandante e l’organizzatore dell’omicidio di Gianluca Cimminiello, un tatuatore di 32 anni, assassinato dalla camorra il 2 febbraio del 2010. Commozione in aula da parte dei familiari dell’uomo trucidato come un boss per aver reagito ad un pestaggio voluto dal clan Amato-Pagano di Secondigliano, a Napoli, dopo una foto che Cimminiello aveva pubblicato sui social nei quali mostrata un fotomontaggio nel quale sembrava che tatuasse il calciatore Lavezzi. Questo aveva fatto scatenare la gelosia di un concorrente soprannominato il “cubano”, che più volte aveva chiesto a Cimminiello di cancellare quella immagine che poteva danneggiarlo, con una concorrenza sleale. Ma Gianluca che era un guerriero con un carattere forte aveva più volte detto di no. Allora il “cubano” si rivolse alla camorra per dargli una lezione. Solo che quella sera, nello studio di Casavatore, in provincia di Napoli, Gianluca picchiò i suoi aggressori e tra loro c’era anche uno dei parenti del boss della camorra Cesare Pagano che andò dallo zio a raccontare tutto e l’affronto subito che andava lavato con il sangue nel giro di poco. E così fu progettato l’agguato, il feroce agguato di una vittima innocente della camorra, punita solo perché ha osato ribellarsi alla camorra.

Un mese fa l’esecutore materiale, Vincenzo Russo, ha avuto l’ergastolo in via definitiva con un rigetto dei suoi motivi di appella dalla Corte di Cassazione, questa mattina è stata la volta dei due registi. Abete, in particolare come hanno ricostruito i pentiti, era a Milano agli arresti domiciliari quando decise che Cimminiello doveva morire perché aveva reagito. Questo omicidio doveva essere un “piacere” da rendere agli alleati degli Amato-Pagano. E così contattò Aprea che a sua volta chiamò Russo che quella maledetta sera prese la pistola e fece fuoco. L’indagine però è tutt’altro che chiusa. Ancora mancano altri personaggi ma si spera che le dichiarazioni di Gennaro Notturno, boss ora pentito, possano aiutare a chiudere il cerchio su tutti.