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Le Regioni sono tenute fuori dai Pnrr. Sapete quanto deve investire la Campania? Tre miliardi di euro, la stessa cifra della città metropolitana di Napoli. Sono estranee perché tenute fuori, almeno per i Fondi di sviluppo e coesione garantiamo una programmazione e controllo, è anche uno stimolo per i Comuni”.
Così il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, nel corso dell’audizione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

La sanità pubblica è il principale servizio di civiltà che possiamo fornire ai nostri concittadini.
Io ritengo che debba essere la priorità assoluta della politica nazionale e che nella definizione delle politiche di bilancio debba essere la priorità di tutto. Non c’è nulla di prioritario rispetto alla vita delle persone. Sarebbe il primo orientamento politico da acquisire, ma non è acquisito”. A dirlo è stato Vincenzo De Luca, che oggi ha preso parte al dibattito “La sanità italiana: omogeneità e differenziazione” organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza della Federico II e dalla fondazione Muto Ets.
Ho ascoltato le ultime dichiarazioni del presidente del consiglio – ha proseguito il governatore della Regione Campania parlando della legge di bilancio – che danno i brividi: credo di avere capito che c’è a malapena uno stanziamento per i rinnovi dei contratti per il personale sanitario. Non c’è un euro per recuperare il tasso di inflazione, non c’è un euro per coprire le case di comunità. Non c’è niente. Avremmo soltanto strutture fisiche. Anche qui l’orientamento del governo è privilegiare le strutture già realizzate e non quelle da realizzare. Un’altra volta insomma si privilegia il centronord: qualcosa di sconvolgente. Dal mio punto di vista è una posizione di totale irresponsabilità”.

Le Regioni non hanno avuto ancora il conguaglio dei fondi investiti durante il periodo del Covid.
Come Campania dovremo ricevere a copertura del bilancio regionale 250 milioni di euro. Figuriamoci il danno che stiamo subendo”. Sono le parole pronunciate dal governatore della Campania Vincenzo De Luca, che oggi ha preso parte al convegno dal titolo “La sanità italiana: omogeneità e differenziazione” organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza della Federico II e dalla fondazione Muto Ets.
Il tema della sanità pubblica arriva a due punti di criticità, due punti decisivi – ha proseguito il presidente della Regione – risorse finanziarie e personale. Negli anni scorsi col precedente ministro della salute abbiamo avuto polemiche vivaci.
Ci raccontava frottole, perché ci vendeva come percentuali di spesa pubblica per la sanità il 7% del pil nazionale. Oggi apprendiamo che siamo al 6,2%. Cito dati Agenas secondo i quali la Gran Bretagna spende per la sanità l’8% del pil, la Francia il 9,3, la Germania il 9,8. Se volessimo raggiungere i livelli Francia, avremmo bisogno di altri 40 miliardi di euro”.

Siamo in una situazione drammatica: i nostri dirigenti Asl e delle strutture ospedaliere fanno i conti con situazioni al limite della governabilità. Per capirci, non si riescono a fare i turni nei pronto soccorso”. A parlare è Vincenzo De Luca.
Il governatore della Regione Campania è intervenuto oggi nel corso dell’iniziativa dal titolo “La sanità italiana: omogeneità e differenziazione” e parlando della situazione finanziaria ha evidenziato che a suo parare in questi anni “è mancata qualsiasi programmazione rispetto al personale medico. Nell’ambito della partita finanziaria, si inserisce il riparto del fondo sanitario nazionale, che è uno scandalo in questo Paese. La Regione Campania è quella che riceve la quota minore in Italia, nonostante ci sia stato un piccolo recupero fatto lo scorso anno, quando siamo riusciti a fare assumere al Ministero della Salute i tre criteri che dovrebbero essere alla base del riparto. Fino ad allora si seguiva un solo criterio: l’età anagrafica. Essendo la Campania la regione più giovane, noi siamo stati rapinati di 250-300 milioni di euro rispetto alla media nazionale. Per capirci 60 euro pro capite in meno rispetto all’Emilia Romagna, 40 in meno di Veneto e Lombardia”.
Ricorda che su quest’aspetto la Regione ha presentato ricorso al Tar del Lazio: “Dopo il favorevole pronunciamento del Tar, sono state presi in considerazione gli altri due criteri: aspettativa di vita e deprivazione sociale, povertà per intenderci. L’allora ministro della Salute, che Dio lo abbia in gloria, cosa ha detto: ‘Visto che il Tar ci impone tre criteri, noi stabiliamo che il riparto si fa per il 99% sulla spesa storica e per lo 0,5 e 0,5 su aspettativa di vita e deprivazione sociale. Non ci fosse stato il codice penale, avrei adottato le armi per rispondere a questa cosa. Abbiamo ricevuto lo 0,75 e lo 0,75 in più: da indignarsi. Per oltre un decennio noi abbiamo perso 7 miliardi di euro”.

Siamo di fronte ad una situazione un po’ paradossale: ragioniamo di autonomia differenziata, ovvero di ulteriore decentramento di poteri, e poi ci troviamo di fronte ad una centralizzazione di poteri mai vista. Una centralizzazione non sul governo, ma sulla presidenza del consiglio”. È quanto sostenuto dal governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che oggi ha preso parte, da remoto, alla seduta della Commissione parlamentare per le questioni regionali, che ha trattato la conversione in legge del dl che detta “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, rilancio dell’economia del Mezzogiorno e immigrazione”.
Abbiamo centralizzato ad oggi – ha proseguito il presidente della giunta regionale campana – l’agenzia della coesione, ora sciolta e diventata dipartimento, con sette mesi andati perduti.
Sono stati centralizzati Pnrr, Fsc (il Fondo per lo sviluppo e la coesione), la zes unica nazionale, le aree interne. Mi chiedo: come si farà a governare tutte queste materie da un solo punto istituzionale? Rischiamo di avere una paralisi”.
Quello che vedo – ha evidenziato De Luca – è un processo di burocratizzazione senza precedenti, un risultato paradossale.
Invece di accelerare sugli investimenti, abbiamo bloccato 23 miliardi di euro di fondi di sviluppo e coesione, che da un anno sono disponibili”.

Come conferenza delle Regioni chiediamo che siano sbloccati i fondi di programmazione complementare. Sono fondi delle Regioni, acquisiti con un accordo con l’Unione Europea già due anni fa. Soldi decisivi, perché se entro dicembre i Comuni non completeranno le opere che si stanno realizzando con fondi Fesr, dovrebbero intervenire con risorse proprie. In questo modo, 230 Comuni vanno in dissesto”.
Lo sostiene Vincenzo De Luca, intervenuto oggi in commissione parlamentare per le questioni regionali in merito alla conversione in legge del decreto “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, rilancio dell’economia del Mezzogiorno e immigrazione”.
Il governatore della Campania ha anche sottolineato che “come conferenza delle Regioni abbiamo proposto alcuni emendamenti.
Per spiegarci, ieri abbiamo inviato tutte le schede dei vari progetti, un vagone di carte. Dovremo aspettare verifiche a Roma prima di un pre-accordo di coesione. Poi verrà tutto rimandato al Cipes (dipartimento per le politiche europee), prima di una verifica del Ministero dell’Economia, poi di altri Ministeri, l’approvazione definitiva del Cipes, quindi l’invio degli incartamenti alla Corte dei Conti. Se tutto va bene, i fondi saranno operativi fra sei mesi. Noi chiediamo invece che essi siano immediatamente spendibili dopo il primo passaggio Cipes, poi se la Corte dei Conti dovesse dare un diniego, si può procedere ad un definanziamento”.
Secondo De Luca, poi, “c’era un solo livello istituzionale che poteva sovraintendere il controllo dei vari fondi, a partire da Fesr e Fsc (sviluppo e coesione): le Regioni”. Ma, ha spiegato, “ora è complicato per le Regioni, fuori dalla gestione del Pnrr, rispettare tutti i livelli di coordinamento e coerenza. C’è l’idea di fondo di poter controllare fino all’ultimo dettaglio tutti i passaggi, ma questo mi ricorda qualcosa tipo il piano quinquennale dell’ex Unione Sovietica”.