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Dopo le numerose arringhe sui social e su tutti i canali di comunicazione ufficiale, nessuno si aspettava che la Campania sarebbe stata una delle prime regioni d’Italia ad attivare la cosiddetta Fase 2 del processo di gestione dell’emergenza Covid-19. Eppure, a sorpresa, nella giornata di ieri, mercoledì 22 aprile, il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, firma un’ordinanza con cui dispone la riapertura degli esercizi di ristorazione, cartolerie e librerie, addirittura con una settimana di anticipo rispetto alla data nazionale del 4 maggio fissata dal governo centrale.

La decisione è stata assunta, come si legge nell’ordinanza n. 37 del 22/04/2020, a seguito di un confronto con l’Unità di Crisi Regionale che si è occupata del monitoraggio della diffusione del virus e che, dopo avere rilevato una diminuzione del contagio su tutto il territorio campano, ha dato il suo assenso alla riapertura di attività e servizi di ristorazione (pub, bar, gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie, pasticcerie) “da svolgersi esclusivamente nella fascia mattutina, dalle ore 7,00 alle ore 14,00, gli altri nella fascia pomeridiana e serale, dalle ore 16,00 alle ore 22,00, e con obbligo di somministrazione attraverso la consegna a domicilio”, mentre per quanto riguarda il commercio al dettaglio di articoli di carta, cartone e libri, l’attività può essere svolta esclusivamente “nella fascia mattutina, dalle ore 8,00 alle ore 14,00, con raccomandazione di privilegiare la modalità di vendita con consegna a domicilio”.

Fin qui, nulla da obiettare. Si ha anzi finalmente l’impressione positiva di poter ritornare gradualmente alla “normalità”. Tuttavia, l’Unità di Crisi Regionale ha allegato alla suddetta ordinanza un protocollo estremamente rigido contenente le misure di sicurezza che i datori di lavoro sono tenuti a mettere in campo prima di procedere alla riapertura. Ed è qui che gli operatori del settore hanno mostrato all’unanimità grande preoccupazione circa la concreta riapertura delle proprie attività.

Il punto 1 del “Protocollo di Sicurezza Sanitaria” allegato all’ordinanza prevede, infatti, che prima di ripartire, è necessario che imprenditori e commercianti procedano alla “disinfezione dei locali interessati” attraverso “ditte autorizzate che devono indicare i prodotti utilizzati e allegare le schede tecniche di questi ultimi” e che “laddove ci sono impianti di climatizzazione e ventilazione deve essere garantita la disinfezione e sostituzione dei filtri”.
E già qui emergono le prime criticità dell’ordinanza.

“In pratica”, ci spiega un consulente esperto di sicurezza sul lavoro, “dopo la sospensione dell’attività e il mancato reddito per oltre 40 giorni, la prima cosa che si pretende dal piccolo imprenditore è di spendere soldi per sanificare un locale. È chiaramente corretto chiedere la disposizione di una sanificazione dei locali e di tutte le attrezzature in esso contenute, ma sono attività che può fare anche personalmente l’imprenditore, utilizzando prodotti efficaci ed autocertificando il lavoro svolto. Bisogna ridurre al minimo indispensabile i costi alle imprese per invogliarle a rimettere in piedi le proprie attività”.

Inoltre, nell’ordinanza non si legge che le attività che non hanno mai avuto interruzioni, come supermercati, farmacie, panifici, ed altri, sono obbligati ad effettuare la sanificazione dei locali. E questa è una cosa strana. Perché le attività di nuova riapertura sono obbligate a sanificare i locali e quelle che non hanno mai chiuso invece no? Eppure, i locali rimasti aperti al pubblico sono sicuramente stati più esposti ad un eventuale contaminazione, rispetto a quelli rimasti chiusi per oltre 30 giorni.

Al punto 3 dello stesso protocollo si legge che “il personale addetto alle attività lavorative, prima di intraprendere di nuovo l’attività, deve essere sottoposto a visita medica volta ad ottenere un certificato sul buono stato di salute dell’interessato.”. Ma come tutti ben sappiamo, i certificati medici hanno un costo, anche questo a carico dei lavoratori o dei datori di lavoro. Ed inoltre, come è evidente, considerando il numero elevato di asintomatici, la comune visita medica non esclude che il lavoratore non sia un portatore sano della malattia. Una valutazione di questo tipo, infatti, può essere affermata solo dopo essersi sottoposti al tampone. Insomma, il certificato medico può davvero garantire la sicurezza di lavoratori e clienti o consumatori?

A ciò va aggiunto che l’ordinanza, disponendo la riapertura condizionata da tali vincoli per il prossimo lunedì 27 aprile, è difficilmente attuabile nel concreto. Gli imprenditori hanno soltanto due giorni (considerata la festività del 25 aprile a cui segue un giorno festivo, domenica 26), ovvero 48 ore per tirare fuori i soldi necessari alla riapertura dopo settimane di incassi pari a zero, trovare una ditta che effettui la sanificazione (gli operatori del settore denunciano che le ditte abilitate per le attività di sanificazione dei locali che operano sul territorio regionale non saranno sufficienti per eseguire “tutti” gli interventi di sanificazione nei locali autorizzati alla riapertura), ottenere dei certificati medici a proprie spese, ed evitando magari di “aggregarsi” nello studio del proprio medico curante per sottoporsi ad una visita medica la cui validità rispetto allo scopo preposto appare più che discutibile (sempre che sia consentita in questi giorni la frequenza allo studio del proprio medico di base).. Per non parlare dell’obbligo di fornire ai propri dipendenti mascherine, guanti, camici e sovra-scarpe monouso (chi le fornisce e chi le paga?)

Insomma, la regione dispone la riapertura, poi se gli imprenditori e i commercianti non saranno in grado di soddisfare le richieste previste dal protocollo di sicurezza, colpa loro. Potranno allora scegliere in libertà di continuare a tenere chiusa la propria attività oppure di riaprire esponendosi ad una sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro, oltre alla chiusura dell’attività per un periodo dai 5 ai 30 giorni.

La domanda che viene da porsi allora è: gli organi regionali potrebbero fare di più per consentire un primo avvio della fase 2 più agevole per i settori interessati?
“Tante possono essere le iniziative legislative che la Regione Campania può attuare
per la ripresa delle attività produttive ed il rilancio dell’economia”, commenta un piccolo imprenditore, “ma almeno quelle minime, senza costi eccessivi per le persone che hanno dovuto interrompere la propria attività lavorativa per un lunghissimo periodo, potevano e sono ancora in tempo per adottarle”.

di Anna Rita Santabarbara